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Louis Hayes & The Cannonball Legacy BandLuogo: Teatro Sociale, Busto Arsizio (VA)
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Segui giorno per giorno l'ottava edizione del festival jazz di Busto arsizio: recensioni, foto e spezzoni video dei concerti sono a tua disposizione.
GIORNO | EVENTO |
RECENSIONE | FOTO | VIDEO |
17 ottobre 2011 |
Steppin’ On Stars |
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18 ottobre 2011 |
Lydian Sound Orchestra |
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20 ottobre 2011 |
Louis Hayes & The Cannonball Legacy Band |
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DADO MORONI, JOE LOCKE, ROSARIO GIULIANISTEPPIN' ON STARSLuogo: Teatro Sociale, Busto Arsizio (VA)
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Apertura atipica per un festival jazz: il trio vibrafono-pianoforte-saxofono potrebbe incuriosire e un po’ spaventare chi non fosse avvezzo alle prodezze di Dado Moroni, Joe Locke e Rosario Giuliani. Ma dal palco, durante la cerimoniosa presentazione, arriva subito un segnale rassicurante: nel mezzo di una sbrodolata di retorica non priva di strafalcioni le poche, lucide parole di Achille Castelli, patron del festival, sono una garanzia e l’unico vero omaggio alla musica: la passione per il jazz, continua ricerca coltivata con discrezione, è ciò che ha reso possibile lo svolgersi di Eventi in Jazz e che tutt’oggi ne decreta il successo.
Calano le luci e la parola è lasciata alla musica. Il vibrafono è protagonista del primo brano in cui il sound del trio viene sviscerato cautamente: Swords Of Whisper è un blando e sognante omaggio di Joe Locke a Little Jimmy Scott, vocalist americano. Il pianoforte sostiene la struttura del brano mentre il vibrafonista si lascia trasportare dai quattro battenti in sapienti improvvisazioni che svelano a tratti reminescenze beatlesiane. Nel corso della serata capiterà ancora che il quartetto di Liverpool ispiri i musicisti sul palco: la composizione Quiet Yesterday di Dado Moroni nasce da un un gioco del pianista sul finale del quasi omonimo pezzo di McCartney.
La serata continua con un altro brano a firma Locke (video) estrapolato dalla sua suite in sei movimenti: è la volta del sax contralto di Rosario Giuliani che irrompe nel brano con una scarica di note sfuggenti. Subito dopo ecco che il sassofonista mette in mostra l’altro lato della personalità del trio (come lo definisce lo steso Locke) con una ballata che sfiora il melenso dal titolo My Angel.
Decisamente più scanzonato e divertente il successivo omaggio a Lennie Tristano, Lennie’s Pennies in cui i tre musicisti si cimentano in altrettanti assoli che stuzzicano la platea fino allo scrosciare finale di applausi (video). Alla già citata Quiet Yesterday segue la title track dell’album, Steppin’ on Stars: è il vibrafonista di origini californiane a catturare l’attenzione del pubblico, grazie al suo sorprendente vistuosismo associato ad una particolare atleticità, che gli permette di ingaggiare una sorta di danza con le note che dalle lamelle si librano nell’aria.
In chiusura il trio sfodera prima Brother Alfred, legata ad un divertente aneddoto sul padre di Dado Moroni, e poi The Peacock, brano dall’incedere cadenzato che ricorda il passo dello sgargiante pennuto.
Il fluire copioso degli applausi a fine concerto, oltre che decretare il successo della prima serata di Eventi in jazz, è sicuramente un segnale di buon auspicio per la continuazione della manifestazione bustocca.
Leggi la recensione di DADO MORONI, JOE LOCKE e ROSARIO GIULIANI live @ Art Blakey Jazz Club
di Lorenzo Manfredini
E’ in una delle prime “serate da cappotto” che Chieti respira l’aria calda del Jazz. Nei palchetti dello splendido teatro “Marrucino”, mezzo pieno (e non mezzo vuoto), si fa strada la voce di Stefano Zenni, presidente della Sidma e organizzatore del progetto Chieti in Jazz. Dalle sue parole si evince una forte soddisfazione quando, presentando i musicisti della Sidma Jazz Orchestra, fa leva sul fatto che la maggior parte di questi siano giovani abruzzesi; testimoni ultimi di un fermento che sotto sotto scuote l’ignoranza e il disinteresse da cui spesso siamo circondati.
A luci spente, è Roberto Spadoni che spiega la particolarità del progetto, di come sul palco saranno due distinte formazioni (Combo e Big Band) a suonare gli arrangiamenti dei ragazzi partecipanti al seminario. Ed è subito musica.
Il piccolo gruppo comincia a far sentire ciò che ha da dire, forse per l’emozione, solo dopo il primo impatto. Ma il tono è pacato, non spento. Non c’è bisogno di scintille per far suonare come si deve l’evanescente There Is No Greater Love, e in Au Private già si cominciano a schioccare le dita. Ma è con la Big Band che le orecchie vengono soddisfatte. L’impatto sonoro con la sezione di fiati accende l’aria in uno spassoso arrangiamento di To Totò. Le percussioni entrano in scena e ritmano i lavori degli “allievi” che con una bella miscela di brani fanno cenni ammiccanti alle loro influenze. In I Mean You fa eco il Jungle Style. L’arpa in September Song si fa spazio dal piccolo centro del palco e rende per un attimo intima l’atmosfera.
Il maestro Spadoni dirige nel clima disteso che ha contribuito a creare e fa gli onori di casa presentando i vari musicisti che si alternano sul palco. E’ magnetico il trio di voci femminili nel quale “le belle” della serata cantano So in Love, ed è a dir poco azzeccato il finale, un trionfante arrangiamento della colonna sonora di Ritorno al Futuro. E’ dunque tra i sinceri e calorosi applausi del pubblico che si conclude quest’edizione del Chieti in Jazz Festival, una realtà vera, di quelle che mancano da noi. La scioltezza con cui sono trascorsi gli otto giorni di programma (nei quali oltre al concerto finale e alle lezioni del seminario si è svolta la Masterclass con Javier Girotto e il suo relativo concerto) è una chiara testimonianza di quanta cura sia stata messa nell’organizzazione.
Ciò che forse è mancato e andrebbe rivisto nelle prossime edizioni, è il dare l’opportunità ai compositori dei pezzi per Combo di dirigere i loro stessi arrangiamenti. “Di lui è stato detto…” che forse era pomposo chiamarlo festival; ma lo spirito della parola stessa e quello dello svolgimento del progetto, lo rendono tale molto più di tante altre realtà ben più blasonate.
Alla fine non è solo la grandezza che rende “grande” qualcosa.
di Ferdinando d'Urso
La sera - buia e tempestosa, stavolta è proprio il caso di dirlo - del 9 Ottobre 2011 per alcuni non è stata una sera come tante. Dieci giovani compositori/arrangiatori hanno dimostrato, al calar delle luci nel Teatro Marrucino di Chieti, il loro indiscutibile talento al pubblico intervenuto numeroso nonostante le intemperie. Gli arrangiamenti, che i giovani artisti hanno realizzato sotto la guida dei maestri Roberto Spadoni e Bruno Tommaso durante il corso di Arrangiamento e Composizione organizzato dalla Società Italiana di Musicologia Afroamericana, hanno accompagnato l’uditorio lungo un cammino attraverso gli standard che hanno fatto la Storia del Jazz.
Dai classici There Is no Greater Love e Au Privave (qui riproposta da Antonio Arcieri in una versione che raffredda il Be Bop in un contrappunto Cool nell’accezione storica del termine) fino al meno sentito capolavoro di Cole Porter So in Love (realizzato da Gloria Trapani con un’interessante armonizzazione a tre voci). Accanto agli standard non sono mancate le composizioni originali; desidero ricordare soprattutto Let Ring, la delicatissima e sofisticata ballad di Marco Fior che dimostra tutta la maturità del suo autore. Entusiasmante il finale che ha riportato alla mente del pubblico la bianca DeLorean di Ritorno al futuro grazie all’adattamento per Big Band che Marco Vismara ha realizzato basandosi sulla partitura originale di Alan Silvestri. Ad eseguire i brani sono stati chiamati gli stessi partecipanti al corso, riuniti in un sestetto che ha intrattenuto il pubblico durante la prima parte del concerto, e la SIdMA Jazz Orchestra diretta dal maestro Roberto Spadoni. Dal suono deciso e compatto, l’orchestra si è arricchita per l’occasione anche del suggestivo colore dell’arpa di Alice Belardini. Notevole l’esecuzione del pianista Lorenzo Paesani che si è profuso in una serie di assolo sempre adatti e di incontestabile buon gusto.
Per chiudere la serata sono state consegnate dal presidente della SIdMA Stefano Zenni, da Luca Bragalini - docente del corso di Musicologia e Giornalismo Jazz - e dallo stesso Spadoni tre borse di studio andate a Cristina Cameli (per l’arrangiamento di Black Narcisus al quale è stato sovrapposto un testo scritto dalla stessa Cameli), a Gabriele Carbone (per una semplice quanto efficace realizzazione di My Romance) e a Costanza Alegiani (per una raffinata e modernissima versione di September Song che ricorda a tratti Maria Schneider). È stato precisato come le borse di studio non siano state consegnate ai “più bravi” arrangiatori del corso ma a coloro che hanno mostrato il maggior interesse per la materia e che avranno così modo di approfondirla ulteriormente l’anno prossimo.
Il concerto finale di Chieti in Jazz 2011 ha mostrato - se ce ne fosse ancora bisogno - come il nostro Paese possegga dei giovani talenti: speriamo che le amministrazioni locali comprendano l’importanza di tali iniziative e capiscano quanto queste facciano bene a tutti.
di Eliana Augusti
Settembre-Ottobre 2011. Una otto giorni a doppio appuntamento quella del Chieti in Jazz 2011, giunto alla sua settima edizione. Promosso e organizzato dalla SIdMA, Società Italiana di Musicologia Afroamericana, il CIJ ha proposto anche per quest’anno un percorso di formazione e aggiornamento esclusivo, per addetti ai lavori. Densa la programmazione: laboratori, seminari e masterclass in due panel, Musicologia e Giornalismo Jazz e Arrangiamento e Composizione per Combo e Big Band. Di là dalla cattedra Stefano Zenni, Luca Bragalini, Bruno Tommaso, Roberto Spadoni e un ospite d’eccezione, Javier Girotto. Suo il concerto di chiusura all’Auditorium delle Crocelle a Chieti, l’8 ottobre. Un «concerto in solitudine» (Zenni) dove l’elettronica fa da filtro a un racconto artificiale a più voci, quella estemporanea del maestro argentino e l’imponente edificio sonoro delle sue divagazioni ai sax e al clarinetto basso, rigorosamente in loop. Intervalli ampi, gradini dinamici da vertigine, temi semplici e ficcanti. A quinte aperte, Girotto crea. L’urlo raschiato in gola del sax e le voci della rivoluzione argentina viaggiano attraverso il tempo e si innestano, prepotenti, in quel presente sonoro così evocativo e sofferto. Il fraseggio è violento, dinamicamente spinto. Girotto esplora tutti i registri dei suoi sax, in un delirio che non si scompone. È un climax. Un corno, una voce recitante e il contralto riporta, malinconico e struggente, al passato. Canoni, imitazioni, un contrappunto fittissimo che circola nei loop e si libera nell’improvvisazione. Un oratorio, un cammino mistico, una conversione. Il tema è dolcissimo, e le interruzioni acide. Il dialogo col passato si fa nevrotico e passionale. Quasi lacrima il clarinetto basso. Arrivano i versi di Borges e la coralità intimista a ricordo di Alfonsina Storni e del suo tragico destino. Alfonsina y el mar. Il pubblico è dentro, calato nel dramma da protagonista. Il sax del maestro ne guida il bordone che tiene e sostiene l’intensità della narrazione. Suggestivo.
E dalle Crocelle al Teatro Marrucino. 9 ottobre. SIdMA Jazz Combo e SIdMA Jazz Orchestra in concerto. Roberto Spadoni è il «maestro di cerimonia, ineccepibile e brillante» (Zenni). Il combo, piccolo gruppo di due fiati, chitarra, contrabbasso, pianoforte e batteria, esegue i lavori originali di Riccardo Di Fiandra, Antonio Arcieri, Gabriele Carbone e Maria Cristina Cameli. Arrangiamenti dalle linee snelle e swinganti su standard da There is not a great love a My Romance, passando per Charlie Parker e Joe Henderson. Quando esce di scena il combo, si affacciano sul palco i maestri della SIdMA Jazz Orchestra. Arrangiamenti di Claudio Bonetti, Costanza Alegiani, Marco Fior, Andrea Montanaro, Gloria Trapani e Marco Vismara. Una sezione di fiati incontenibile, tra le riletture ammiccanti di I Mean You e le sinuosità di una ballad come September Song. C’è spazio per la contaminazione partenopea, accennata in Tototò a firma Fior, e per quella febbricitante della latina (chissà poi perché Balkanic) Meditation di Montanaro. L’orchestra perde trombe e tromboni e guadagna una vocal section tutta al femminile: Costanza Alegiani, Maria Cristina Cameli e Gloria Trapani. Tre timbri diversi in una trama sofisticata, dove composizione e improvvisazione non sempre trovano il giusto feeling, ma non tradiscono comunque il risultato finale che resta gradevole.
Borse di studio a Maria Cristina Cameli, Gabriele Carbone e Costanza Alegiani. Chiude il gran finale di Ritorno al futuro, nella rielaborazione pirotecnica di Marco Vismara. Una festa con finale esplosivo. E la gioia è contagiosa.
L'edizione 2011 dei seminari Chieti in jazz si è conclusa con un doppio concerto: sabato 8 ottobre si è esibito il "solitario" Javier Girotto e il giorno successivo è stata la volta degli studenti, con la prova del SIdMA Jazz Combo e SIdMA Jazz Orchestra.
Ma a Chieti in jazz non sono solo i musicisti a coltivare la propria passione. C'è chi quella musica cerca di comprenderla e tradurla in parole: una faticaccia, ma qualcuno deve pur farlo! E i migliori candidati sono proprio gli studenti del seminario di Musicologia e Giornalismo jazz che quest'anno sono riusciti, con ottimi risultati, ad interpretare il gran finale e regalerne le emozioni a tutti coloro che avrebbero voluto essere là. Valutate voi stessi:
Se vuoi scegliere la recensione che secondo te è riuscita a rispecchiare meglio lo spirito della serata (o semplicemente della persona che ti sta più simptica o ti ha pagato di più) vota il sondaggio sulla pagina facebook di AMAmusic
LEGGI LA RECENSIONE DEL CONCERTO DI MILANO
Da Bologna a Liverpool – L’icona rock Paul Mc Cartney chiuderà in modo spettacolare il 2011 con 11 concerti evento in luoghi selezionati. Paul ha scelto l’Italia, con Bologna e Milano per aprire questo speciale tour che si concluderà nella sua Liverpool
L’ “On The Run” tour vedrà Paul esibirsi per la prima volta in carriera a Bologna e tornare a Milano a 18 anni dalla sua ultima apparizione.
La scelta dell’Italia come paese da cui inziare il tour rafforza una volta di più il rapporto speciale che ha sempre legatoPaul Mc Cartney al nostro paese, e ad 8 anni dallo straordinario concerto ai Fori Imperiali di Roma a cui parteciparono 500.000 persone, l’Italia si prepara a riabbracciare Paul per due concerti che hanno già il sapore di evento.
26 novembre Casalecchio di Reno Bologna – UnipolArena
tribuna numerata 120 euro + prev / parterre posto unico in piedi 60 euro + prev
27 novembre Assago Milano - MediolanumForum
1° anello numerato 150,00 euro + prev / 2° anello non numerato 85,00 euro + prev / parterre posto unico in piedi 60,00 euro + prev
Biglietti in vendita dalle ore 12 di oggi, 10 ottobre, online sul sito www.ticketone.it e da domani alle ore 12 nelle prevendite abituali
ATTENZIONE DIFFIDARE DELLE PREVENDITE NON AUTORIZZATE
Prevendite TicketOne - Infoline 0584.46477
Domenica sera a Che tempo che fa Ivano Fossati dichiara al conterraneo Fazio (e all’Italia) che si ritirerà dal music biz; contestualmente annuncia l’uscita del suo libro Tutto questo fututo (autobiografico, non un’autobiografia, sia chiaro) e del suo ultimo album Decadancing, cui seguirà il tour promozionale.
Il giorno dopo incontra i giornalisti per presentare libro e disco, e l’attenzione è focalizzata sulla notizia del suo prossimo ritiro. Una scelta dettata da onestà intellettuale e lealtà verso il proprio pubblico quella di Fossati, che sostiene di non aver più nulla da dire né da aggiungere a quanto prodotto negli ultimi quarant’anni di onorata carriera. «Non è stato semplice» confessa il cantautore genovese. «Quando una persona dichiara una cosa del genere non può tornare indietro: l’avevo già preannunciato ai miei collaboratori, alle persone vicine, ma è stato solo quando l’ho reso pubblico che l’ho dichiarato veramente anche a me stesso». Impossibile, soprattutto per la stampa, evitare il rimando ad altre storie simili che negli ultimi tempi hanno riempito le colonne di magazine e riviste musicali; primo tra tutti il caso “Vasco”, che poco dopo il ritiro ufficiale dà alla luce il nuovo album. «E’ una scelta che merita rispetto, comunque la si metta - continua Fossati - un atto di coraggio che non ha nulla a che fare con fini promozionali»
«Bene, ora alla EMI si è liberato un posto», ironizza il giornalista Massimo Bernardini che conduce brillantemente l’incontro con i giornalisti; «largo ai giovani dunque» prosegue Fossati, che sembra avere particolarmente a cuore il destino dei nuovi talenti e dei musicisti meritevoli; «ma che posto? - penso io - e, soprattutto, che musicisti?».
Musicisti bravi, sia chiaro, ce ne sono fin troppi, ma le scelte discografiche non sono dalla loro parte e di conseguenza anche i potenziali talenti si trasformano in ... nulla.
Il sistema è cambiato, l’orecchio della gente disabituato all’ascolto, viziato da prodotti sempre più scadenti. D’altro canto quel posto simbolico lasciato libero da Fossati è troppo stretto per chiunque altro: banalmente si potrebbe affermare che il ricambio generazionale non c’è stato. Ma a quale ventenne oggi è data la possibilità di vivere in una sorta di “comune musicale” sotto l’ala protettrice di un discografico che ne incentiva l’espressione artistica? Fantascienza. Quando poi si tratta di mettere finalmente sotto contratto qualche giovane speranza della musica italiana, ecco che dal cilindro escono i Finley. Imbarazzante.
Così i ragazzi di oggi vanno ad ascoltare i concerti delle nuove leve: Guccini, De Gregori, Dalla, Conte riescono ancora ad esalare gli ultimi versi di una lingua morta.
Per Ivano Fossati è invece arrivato il momento di respirare un’aria nuova, approfondire temi e discipline che finora aveva trascurato per via della sua professione (per parafrasare lo stesso cantautore). La fine di una così lunga attività non può lasciare indifferenti, ma lo slancio verso la novità è sempre accompagnato da entusiamo, sufficiente a scalzare il velo di malinconia che potrebbe offuscare la scelta: il titolo del suo ultimo album, Decadancing, sintetizza splendidamente questo concetto, il decadere non sfocia nello sconforto: l’euforia di una danza è pronta a scalzarlo. Un messaggio pieno di speranza e positività, che viene sviluppato nell’album attraverso tante piccole storie a sè stanti, ma legate dallo stesso filo conduttore.
Per finire «Ci sono troppi professori e pochi musicisti. Le domande che mi vengono rivolte - afferma Fossati - sono sempre sui testi, mai sulla musica. Tutti si trasformano in psicologi e si chiedono “cosa avrà voluto dire?”» .
Forse è questo il punto: troppo presi dalla voglia compiaciuta di fare sfoggio della propria bravura si perde di vista lo scopo della musica, musica da ascoltare, divorare e digerire con la pancia. Un grazie riconoscente a Fossati ha voluto (e potuto) farlo.
La proficua collaborazione tra il Premio Tenco e il Chiara si materializza quest'anno in una targa messa tra le mani di Paolo Conte nelle Ville Ponti di Varese, perché "con la poesia del suo vivere e la curiosità di un fanciullo ha aggiunto nuovi universi al nostro immaginario quotidiano".
Io tra i versi della sua poetica non ho mai trovato lo sguardo di un fanciullo, ma la visione di un "mondo adulto" in cui, al limite, "si sbaglia da professionisti". Nessun universo aggiunto all'immaginario quotidiano, ma la meraviglia che ci cela nella più normale quotidianità, sottratta alla banalità cui è condannata per essere celebrata e consegnata ad un'eternità sublime.
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