Durante gli anni dell'università inizia a lavorare presso una testata locale continuando l'attività giornalistica in ambito musicale e sportivo come freelance.
Iscritta all'ordine dal 2007 crea il progetto AMA music per dar voce alle realtà locali o parlare dei grandi nomi con il gusto e l'approfondimento che difficilmente si trovano nel web.
Gli appuntamenti di Bià Jazz 2012 saranno dedicati al free-jazz ed alla sperimentazione.
Il Bià Jazz Festival 2012 pur nello sforzo di rendere più omogeneo il programma, non intende trasformare tale omogeneità in un’analisi filologica sul genere proposto: il free-jazz sarà considerato sia ospitando gli storici esponenti di questa corrente, sia attraverso le performaces di artisti (anche emergenti) che con la loro costante sperimentazione hanno “liberato” il jazz da rigide classificazioni.
Il Bià Jazz Festival è un evento organizzato dal Circolo ARCI “Arcipelago” di Abbiategrasso (MI) in collaborazione con la cooperativa Rinascita Abbiatense che ospita la manifestazione e presso cui ha sede il circolo stesso.
sabato 3 marzo
ore 21.30
sabato 10 marzo
ore 21.30
venerdì 16 marzo
ore 21.30
PER INFORMAZIONI:
http://www.myspace.com/biajazzfest
Il mio ricordo di Lucio Dalla è legato ai miei primi concerti, agli anni dell’Università. Visto sempre con i suoi Stadio e poi il “gran tour” con Gianni Morandi.
Musicista di formazione jazz, autore dei testi delle sue canzoni, ha vissuto l’esperienza beat, la sperimentazione ritmica e musicale, ha scritto colonne sonore amando sempre la “canzone italiana d'autore”. Artista eccezionale ed eccentrico ha sorretto il mio interesse per la “buona musica italiana”. I primi accordi li ho suonati proprio sulle sue canzoni: Anna e Marco, Futura, 4 marzo, Piazza Grande non potevano mai mancare…
Con Lucio Dalla scompare una parte importante della colonna sonora della mia vita, scompare il mio “rito iniziatico” alla musica, ai live nei palazzetti, scompare un vero maestro nel comporre e nell’osservare in maniera disincantata l’irrimediabile scorre della vita.
Ora mi torna ossessivo quel motivo dell’ultimo tuo tour con Francesco De Gregori
Come la vita che passa o che l'abbiamo passata
così tanto per vivere senza farci del male
ma saper vivere non basta
e non basta saper cantare
Ciao Lucio
Oscar Valente
Teatro Splendor
P.zza San Martino 1
Inizio Concerti ore 21.30
Jazz Masters
Bobby Watson sax alto
Richard Johnson piano
Curtis Lundy basso
Victor Lews batteria
The Talented Mr.Pelt
Jeremy Pelt tromba
J.D. Allen sax tenore
Denny Grissett piano
Dwayne Burno basso
Gerald Cleaver batteria
Remembering Shelly
Max Ionata sax tenore
Marco Tamburini tromba
Luca Mannutza piano
Francesco Puglisi basso
Roberto Gatto batteria
Per Informazioni
Ufficio Cultura
Comune di Bollate
02.35005575
Sognando la california
10 ragazze
Dio è morto
Dove si va
Impressioni di settembre
Ho in mente te
la compagnia
Scende la pioggia
Sguardo verso il cielo
Vagabondo
Vento del nord
C'è una strana espressione
C'era un ragazzo
C'è chi dice no
Generale
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JERRY BERGONZI TRIO
Luogo: Art Blakey, Busto Arsizio (VA)
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Jerry Bergonzi - sax tenore Dave Santoro - contrabbasso Andrea Michelutti - batteria
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Di italiano, a Jerry Bergonzi non resta che il nome: è l'orgoglio americano (concetto così affascinante, forse perchè così estraneo a noi italiani) a trasudare non solo dal look del celebre sassofonista, da quei jeans, T-Shirt e cappellino da baseball che sembrano una divisa nazionale, ma anche e soprattutto dalle parole che accompagnano il brano di apertura. «E' giusto amare un presidente che ama la musica» dichiara, e omaggia Barack Obama dedicandogli il pezzo.
Così prende il volo la serata che vede Bergonzi tornare all'Art Blakey Jazz Club a distanza di dieci anni dalla prima volta; l'occasione è il terzo appuntamento della rassegna JAZZaltro, che cade in concomitanza con l'ultimo concerto della stagione live del club.
Dalla tematica temporale si passa a quella spirituale con il brano successivo, Awake, ispirato al compositore da una parabola su Buddah: l'illuminato, sceso dalla cima della montagna su cui stava meditando da tempo, a chi gli domandava se fosse un un dio, un santo o un alieno, rispondeva semplicemente: «Son desto» (I'm awake, appunto). Sono le vivacissime note del sax tenore a tracciare l'andamento del brano, poi le bacchette di Andrea Michelutti prendono il sopravvento; una battuta di contrabbasso e l'ensemble si riunisce per il finale.
Di sè Jerry Bergonzi dice solo che sfotunatamente non ha mai imparato l'italiano. Ma dei suoi compari di ribalta tesse le lodi definendone metaforicamente le qualità: Michelutti è «l'uomo che ti seguirebbe ovunque, anche in un vicolo oscuro, e che sa sempre darti la cosa di cui hai bisogno al momento più oppurtuno». Dave Santoro è invece il "big man" dietro al contrabbasso, «quello che dirige il traffico o che sta dietro ai fornelli. Insomma, il cuoco».
E, subito dopo, le note di note di Silent Flying iniziano a fluire dal sassofono di Bergonzi, sembrano levitare impalpabili sopra al fruscio delle spazzole, fluttuano ambigue e infine si dissipano sul solo di contrabbasso. Segue Demolian Mode, altro brano tratto da Three for All.
Il primo set si chiude come si era aperto, con una dedica, questa volta diretta ad un caro amico di Bergonzi, il primo che - ci spiega il sassofonista - ha creduto in lui: You're My Everything.
Protagonista assoluto del rientro in scena è il sassofono tenore: un solo eclettico e variegato permette a Bergonzi di far sfoggio di tutta la maestria strumentale per cui è celebre nel mondo. Tocca a Michelutti l'avvio del pezzo successivo: le bacchette scorrono su tom e rullante, la cordiera inizialmente è assente, e poi inserita per marcare la seconda parte nel solo più frenetica e serrata. La batteria carica e il sassofonista rientra a pieno regime, con un fraseggio e un'intensità interpretativa che provocano l’esaltazione del pubblico.
La ballata successiva serve a ripristinare lo stato di quiete in sala, lo swing spensierato di chiusura a congedare allegramente il pubblico che affollava il club.
La rassegna JAZZaltro inconta il pubblico Art Blakey Jazz Club in occasione di un importante appuntamento: il concerto del Jerry Bergonzi Trio. Nato a Boston da genitori italo-americani, Bergonzi vanta uno stile che ha riunificato molti dei principali dialetti del tenorismo moderno, oltre ad una genialità compositiva e maestia stumentale riconosciute da jazzisti di tutto il mondo.
Il suo è in raltà un ritorno sul palco del club di vicolo Carpi (aveva già calcato quel palcoscenico nel 2001): un evento unico che testimonia ancora una volta l'eccezionalità delle scelte artistiche dell'Art Blakey Jazz Club.
Non aspettatevi di sentirvi raccontare una storiella biografica, non pensate di arrivare a metà di una conferenza di Stefano Zenni e conoscere vita e opere del personaggio di cui parla: è un'illusione che non vi darà mai. Ma, quando avrà finito di parlare, quel personaggio lo sentirete più vicino, quasi fosse un amico che vi ha confidato qualcosa di sè, intimamente. Ed è proprio questo il punto ideale da cui iniziare a conoscerlo.
Nel corso del quarto appuntamento di Conoscere il jazz 2012, Stefano Zenni lascia che sia Charles Mingus a spiegarsi, gli permette di farlo attraverso la sua musica, le note di copertina che lui stesso (o il suo psicanalista!) ha lasciato. Sublime e sottile intermediario tra l’artista e pubblico, Zenni, quando racconta aneddoti, persone o episodi della vita di Mingus, lo fa per aiutarci a comprendere il significato della sua eredità artistica, la sua musica, ciò che in fondo ha voluto lasciarci.
Per questo motivo gli ascolti che Stefano Zenni riesce, per quanto complessi, a rendere accessibili anche ai non addetti ai lavori, sono una componente fondamentale della narrazione, oltre a qul pizzico di ironia che permette di lubrificare il discorso anche nei punti più spessi.
Quarta delle cinque conferenze del ciclo, The Black Saint. Biografia in musica di Charles Mingus tra composizione e improvvisazione denota ancora una volta l'alto livello delle proposte di Bollate Jazz Meeting, che il pubblico sembra apprezzare notevolmente, data la serie di domande sottoposte al relatore dopo due ore di conferenza.
Marzo 2012 – Ore 21
Bollate Palazzo Seccoborella (piazza C.A.Dalla Chiesa 30)
Contaminazioni nella scena musicale e culturale americana
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MANOMANOUCHE QUARTET
Luogo: Melo, Gallarate (VA)
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Nunzio Barbieri - chitarra Luca Enipeo - chitarra Jino Touche - contrabbasso Massimo Pitziani - fisarmoni |
Le parole non servono: sono i gesti, gli sguardi, le sfumature di colore a guidare le note dei Manomanouche, quartetto zingaro nel tocco e nel piglio, che non sosta nemmeno per il tempo di una canzone.
E’ affidato alla chitarra di Nunzio Barbieri il compito di introdurre il pubblico al gipsy jazz dei Manomanouche Quartet. La base ritmica di contrabbasso e chitarra coglie il momento ed incalza, spingendo la fisarmonica sd impadronirsi della scena; uno stop, un solo di Jino Touche e l’ensamble ripropone il tema principale che porta alla chiusura del primo brano. Il ritmo gitano del pezzo successivo è lo sfondo del solo acrobatico di Barbieri: Massimo Pitziani lo scruta, si compiace e lo segue virtuoso fino allo scrosciare degli applausi.
Segue un tre quarti sostenuto ed arioso, un valzer gipsy-musette su cui la fisarmonica respira e spiega ampiamente le ali: chissà quanti dei presnti si sono sentiti trasportare, per il tempo della canzone, in un’antica brasserie sulle rive della Senna.
Pochissime parole di ringraziamento di Nunzio Barbieri precedono la sognante Manoir des Mes Reves, blanda composizione di Django Reinardth in cui chitarra solista e fisarmonica dialogano, si rincorrono, intrecciano e poi districano armoniosamente.
Prima della pausa ecco il quartetto alle prese con la celebre Minor Swing: prima le due chitarre tacciono, poi entrano in crescendo con un arpeggio ipnotico riproposto subito dopo dalla fisarmonica. Il pezzo si dilunga in una serie di falsi finali, quasi a voler suggerire l’importanza della contaminazione (o l’ascendente rock?) nella musica dei Manomanouche: la sei corde cita con una disinvoltura sconfinante nell'ironia Michelle (Beatles), Babe I’m Gonna Leave You e Stairway To Heaven (Led Zeppelin), Smoke on the Water (Deep Purple), e addirittura la Marcia alla Turca di Mozart, prima di arrendersi al finale.
Il rientro dopo la pausa è inaugurato da un arpeggio ossessivo della chitarra solista, ancora una volta seguita a ruota da un assolo di fisarmonica degno del Volo del calabrone: non è improvvisazione ciò che sta accadendo sul palco del Melo, è di più, un vero e proprio atto creativo guidato da un sottile filo d’intesa. Ancora un pezzo spagnoleggiante che vede Jino Touche esibirsi in un assolo accompagnato esclusivamente dal picchiettare ritmato delle dita degli altri musicisti, e poi a richesta arriva Que Reste-t-il De Nos Amours?, di Charles Trenet; il tempo viene aumentato prima del finale, ancora una volta all’insegna della citazione: canzoni popolari e inni francesi, questa volta. Il concerto termina con Tears, melodia languida, ideale per un congedo.
Il quartetto, nonostante l’indicazione di Barbieri che sottolineava ironico come i bis si possano tranquillamente ascoltare sul CD in vendita, rientra in scena per quel rituale cui - pare - nessuno può sottrarsi. Ecco quindi Bossa Dorado, gli applausi della sala gremita e i Manomanouche che ripongono gli strumenti acustici nelle custodie. Speriamo di incontrarli al più presto durante il loro girovagare tzigano.
Per il secondo appuntamento del mese di febbraio 2012, martedì 21 alle ore 21.00 in Sala Planet, via Magenta 3 a Gallarate (VA), si esibirà sul palco il Manomanouche Quartet, formazione composta da Nunzio Barbieri (chitarra), Luca Enipeo (chitarra), Massimo Pitzianti (accordion) e Jino Touche (contrabbasso).
Il progetto Manomanouche nasce nel 2001 dall’incontro di musicisti di differente estrazione, con l’intento di far conoscere ad un pubblico più vasto la cultura e la tradizione musicale degli zingari Manouches. Nell’arco di soli tre anni Manomanouche diventa una realtà di riferimento nel panorama Gypsy Jazz, un caso unico per la qualità della ricerca, dell’arrangiamento e per la valenza personale ed emotiva che questo progetto ha per i suoi musicisti. La loro intensa attività concertistica li porta a assumere e consolidare uno stile sempre più personale, ricco di contaminazioni diverse, ma senza mai dimenticare l’essenza, lo spirito che li caratterizza e dal quale traggono ispirazione. La loro proposta artistica è quindi caratterizzata da un originale e personale lavoro di ricerca del suono, degli strumenti e dell’approccio caratteristici dello Swing Manouche.
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