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SENZA MUSICA LA VITA SAREBBE UN ERRORE Friedrich Nietzsche

Venerdì Dicembre 08, 2023
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Martina Bernareggi

Martina Bernareggi

Durante gli anni dell'università inizia a lavorare presso una testata locale continuando l'attività giornalistica in ambito musicale e  sportivo come freelance.
Iscritta all'ordine dal 2007 crea il progetto AMA music per dar voce alle realtà locali o parlare dei grandi nomi con il gusto e l'approfondimento che difficilmente si trovano nel web.

Sabato, 20 Dicembre 2008 00:00

Gli Afterhours ammazzano il sabato

AFTERHOURS

 

Luogo: Pala Sharp, Milano

Data: 20 dicembre 2008

Evento: Tour 2008

Voto: 5

Alla destra del palcoscenico la luce naturale di una perfetta luna piena cui si affianca quella più flebile di Giove; alla sinistra lo sfavillio delle illuminazioni cittadine che i 600 metri di altitudine di Sordevolo permettono di scorgere in lontananza. Fanno il loro ingresso chitarrista e altri sei polistrumentisti rigorosamente in smoking che si posizionano alle rispettive postazioni; pochi attimi ancora e questo scenario diventerà contorno: Paolo Conte entra dalla sinistra, un cenno per salutare il folto pubblico, si siede al suo pianoforte e immobile attende la prima nota dello xilofono: Sparring partner. Termina il brano di apertura, i musicisti corrono per il palco e si scambiano i ruoli come in una danza che accompagnerà tutto il concerto. Via al secondo pezzo, Come-dì.

Tra le gambe del pianoforte si muovono quelle di Conte, un piede si agita freneticamente, l'altro sembra seguire le note; un accenno di kazoo e il pubblico è in tripudio. Il ritmo si allenta sulle strofe de La casa cinese e si fa cadenzato quand'è il momento di Sotto le stelle del jazz, particolarmente apprezzata dagli spettatori che si divertono ad imitare il cantautore a suon di "zzz". Le luci della scena si tingono di verde e i suoni si fanno esotici: è il momento di Alle prese con una verde Milonga che scivola via sinuosa per lasciare spazio alla fumosa e accattivante Boogie.

Come da copione i musicisti escono di scena e Conte esegue solo al pianoforte Parole d'amore scritte a macchina; quando termina il brano anche l'ultimo sassofonista abbandona il palco ed ecco Genova per noi, troppo grande, troppo celebre, non può essere rappresentata che su un palcoscenico sgombro. Conte termina quasi frettolosamente la popolare canzone e per la prima volta si alza e si porta al microfono alla sinistra del pianoforte: a chiudere la prima parte dello show è la splendida Molto lontano, il piano suonato a quattro mani, il bandoneon che soffia alle sue spalle.

Un motivo sentito e risentito apre la seconda parte del concerto, ma non è immediato che si tratti di Bartali: la prima strofa è lenta, forzatamente lenta, ma d'un tratto arriva la ripresa ritmica che asseconda le aspettative di tutti. Un'atmosfera calda e rilassante riempie l'aria con Sonno elefante, poi è la volta di Lo zio, Max e Diavolo Rosso che si trasforma piano piano in quella che sembra un'improvvisazione klezmer. Conte esce di scena, il solito rituale gridato lo fa rientrare per il bis. Due ragazzi si lanciano sotto al palco, subito la folla li imita e balla al ritmo de La vecchia giacca nuova. Via con me è intonata all'unanimità prima che le luci si spengano definitivamente

Venerdì, 29 Giugno 2007 00:00

Paolo Conte tra luce e poesia

PAOLO CONTE

www.paoloconte.it

Luogo: Anfiteatro Giovanni Paolo II, Sordevolo (BI)
Data: 29 giugno 2007
Evento: Libra Festival
Voto: 9

Alla destra del palcoscenico la luce naturale di una perfetta luna piena cui si affianca quella più flebile di Giove; alla sinistra lo sfavillio delle illuminazioni cittadine che i 600 metri di altitudine di Sordevolo permettono di scorgere in lontananza. Fanno il loro ingresso chitarrista e altri sei polistrumentisti rigorosamente in smoking che si posizionano alle rispettive postazioni; pochi attimi ancora e questo scenario diventerà contorno: Paolo Conte entra dalla sinistra, un cenno per salutare il folto pubblico, si siede al suo pianoforte e immobile attende la prima nota dello xilofono: Sparring partner. Termina il brano di apertura, i musicisti corrono per il palco e si scambiano i ruoli come in una danza che accompagnerà tutto il concerto. Via al secondo pezzo, Come-dì.

Tra le gambe del pianoforte si muovono quelle di Conte, un piede si agita freneticamente, l'altro sembra seguire le note; un accenno di kazoo e il pubblico è in tripudio. Il ritmo si allenta sulle strofe de La casa cinese e si fa cadenzato quand'è il momento di Sotto le stelle del jazz, particolarmente apprezzata dagli spettatori che si divertono ad imitare il cantautore a suon di "zzz". Le luci della scena si tingono di verde e i suoni si fanno esotici: è il momento di Alle prese con una verde Milonga che scivola via sinuosa per lasciare spazio alla fumosa e accattivante Boogie.

Come da copione i musicisti escono di scena e Conte esegue solo al pianoforte Parole d'amore scritte a macchina; quando termina il brano anche l'ultimo sassofonista abbandona il palco ed ecco Genova per noi, troppo grande, troppo celebre, non può essere rappresentata che su un palcoscenico sgombro. Conte termina quasi frettolosamente la popolare canzone e per la prima volta si alza e si porta al microfono alla sinistra del pianoforte: a chiudere la prima parte dello show è la splendida Molto lontano, il piano suonato a quattro mani, il bandoneon che soffia alle sue spalle.

Un motivo sentito e risentito apre la seconda parte del concerto, ma non è immediato che si tratti di Bartali: la prima strofa è lenta, forzatamente lenta, ma d'un tratto arriva la ripresa ritmica che asseconda le aspettative di tutti. Un'atmosfera calda e rilassante riempie l'aria con Sonno elefante, poi è la volta di Lo zio, Max e Diavolo Rosso che si trasforma piano piano in quella che sembra un'improvvisazione klezmer. Conte esce di scena, il solito rituale gridato lo fa rientrare per il bis. Due ragazzi si lanciano sotto al palco, subito la folla li imita e balla al ritmo de La vecchia giacca nuova. Via con me è intonata all'unanimità prima che le luci si spengano definitivamente

Martedì, 10 Luglio 2007 00:00

Berlin - Loureedo vecchio porco

LOU REED

www.loureed.com

 

Luogo: Teatro degli Arcimboldi, Milano
Data: 10 luglio 2007
Evento: Berlin Tour 2007
Voto: 5

Ein prosit, ein prosit... riecheggia in apertura dello show la registrazione del coro tedesco: bisognava cogliere l'invito. Forse uno stato mentale alterato sarebbe stato l'unico modo per apprezzare le emozioni filtrate e i suoni ovattati provenienti dal palcoscenico. L'esecuzione ineccepibile dei brani del concept album non basta ad entusiasmare, le sonorità non sono incisive. Di penetrante resta solo l'inimitabile, profondo e sensuale timbro di Lou Reed, che reinterpreta i brani di Berlin eliminando totalmente la melodicità in favore di una forzatura del suo stile, che sfocia in un ridondante recitativo. Probabilmente gli anni impediscono al cantante di "tenere la nota", o più semplicemente questo è Lou Reed oggi.

Una patinata atmosfera da Mtv Umplugged con luci calde e colori pastello è ciò che completa la stonatura dello show: troppi colori per un concept grigio e decadente. Quando termina la track list di Berlin assistiamo alla solita uscita di scena e successivo bis Transformer: Sweet Jane fa esplodere il pubblico in uno scrosciante applauso e urla di gioia; Satellite Of Love è il pretesto per un siparietto tra Fernando Saunders (basso) e Lou Reed che lascia cantare il musicista e poi si diverte a dirigere i suoi acuti con un cenno della mano; Walk On The Wild Side chiude la sezione, con quel saxofono che timidamente si rende protagonista nel finale tradendo l'originale impeto della scarica di note che facevano breccia nella sinuosità del brano.

THE DAMNED

www.officialdamned.com

 

Luogo: Music Drome, Milano
Data: 11 maggio 2008
Evento: Tour 2008
Voto: 8

Chiome colorate, teste mezze rasate, calze bucate, creste e pantaloni attillati ravvivano la monotonia e il grigiore di una domenica sera in via Paravia per concentrarsi nei pressi di un cancello di ferro: siamo all'ingresso del Musicdrome, trasformatosi in tempio punk-rock in occasione dell'unica data italiana dei Damned.

Il pubblico, già caldo dopo l'esibizione di tre gruppi spalla, si accalca sotto il palcoscenico quando Captain Sensible (Ray Burns all'anagrafe) si presenta sulla ribalta con la sua chitarra. Una breve introduzione, un saluto all'audience milanese e il Musicdrome esplode sotto i colpi delle percussioni di Pinch, un autentico propulsore con un tiro trascinante. Tra l'esecuzione dei primi brani, Captain Sensible non si lascia sfuggire l'occasione per uno sfottò ai "cugini" londinesi Sex Pistols, vicini ai Damned per definizione, ma anni luce distanti per arte e mestiere. Quello che colpisce fin dai primi pezzi è infatti la competenza musicale, le originali strutture dei brani e la bravura nell'esecuzione live. In particolar modo è la voce di Dave Vanian a risaltare nell'ottica di un concerto di musica punk: un timbro vocale limpido e deciso, una melodicità insita nello stile di canto, una notevole capacità di modulazione che lo distingue da qualunque altro cantante punk. Non male per un quintetto di cinquantenni egregiamente sopravvissuto ad un periodo musicale così particolare.

Dopo una manciata di brani è ancora Captain Sensible a scaldare gli animi del pubblico, inneggiando al punk come unica vera religione; pochi attimi dopo è invece uno spot ad attirare le sue attenzioni (e le sue ire) poichè Monty Oxymoron, lo spettacolare tastierista, risultava essere troppo in ombra; alcuni minuti di urla più o meno comprensibili e il tecnico delle luci risolve la situazione.

Una scossa di adrenalina attraversa il pubblico quando Pinch percuote le pelli della batteria con una serie di rullate tanto incalzanti quanto riconoscibili: è l'intro di New Rose, loro primo singolo, riportato all'attenzione del grande pubblico nel 1993 dai Guns n' Roses. Lo show, impeccabilmente punk, raggiunge l'apice in occasione dell'ultimo brano della scaletta pre-bis, Smash It Up, quando una ragazza particolarmente esaltata (e devota) è chiamata dalla band sul palco ad intonare il pezzo. La ragazza, accompagnata sulla scena da un amico che si lascia andare ai balletti e improvvisazioni più bizzarri, sembra trovarsi decisamente a proprio agio e, superati i primi imbarazzi, dà vita ad uno dei momenti più divertenti del concerto. I Damned lasciano trasparire in questa circostanza una genuinintà e spontaneità "allo stato grezzo" che oggi è difficile riscontrare persino in giovani band emergenti.

E' il momento del consueto siparietto dei bis, la band esce dalle quinte e rientra intonando Curtains Call, Monty Oxymoron continua a saltare e gesticolare come fosse posseduto fino al brano finale, Neat Neat Neat che lascia sui volti dell'eterogeneo pubblico quell'espressione di soddisfazione e contentezza che sempre ci si augura di avere alla fine di un concerto.

Sabato, 07 Luglio 2007 12:44

Haiku

FRANCO BATTIATO

 

Luogo: Parco della Pellerina, Torino

Data: 7 Luglio 2007

Evento: Traffic Festival

Voto: 7

Incipit: Haiku. Cosa? Ci aspettavamo un'apertura punkabbestia, mentre Franco dalla sua sedia ci sorprende e ci stende con il più sublime dei brani. Il seguito non è da meno, dato che Povera Patria è un capolavoro sociale e riflessivo. Il pubblico sente il brano, ricontestualizza il testo adeguandolo all'attualità e sottolinea i passaggi fondamentali a suon di 80 mila battiti di mani. Seguono tre brani di Fleurs: Amore che vieni, amore che vai (De Andrè), La canzone dei vecchi amanti (Jaques Brel), Ruby Tuesday (Rolling Stones).

Prevedibilmente il Battiato "pianoforte a coda e quartetto d'archi" deve ora lasciare spazio alla sua anima sperimentale e rockeggiante, ma quelle quattro pseudo-punk-sardo-londinesi trascinano lo show un po' troppo sulla soglia del ridicolo. Sgalambro completa l'opera. Chiudono l'esibizione i classici imprescindibili, il bis ci serba L'era del cinghile bianco e Centro di gravità permanente.

E' ora il momento dei Subsonica, una sferzata di adrenalina live: a Disco labirinto segue una rivisitazione di Patriots con Battiato ai cori che cerca, leggio alla mano, di non sbagliare le entrate; il maestro (qui sembra più uno studentello) segue attento i movimenti di Samuel, questi lo guarda con un misto di ammirazione, stupore, tenerezza e divertimento. Un ultimo brano, si spengono le luci del palco e un fiume di persone si riversa ai Murazzi.

Domenica, 27 Luglio 2008 12:44

Burt ammalia la folla

BURT BACARACH

 

Luogo: Teatro degli Arcimboldi, Milano

Data: 26 Ottobre 2008

Tour 2008

Il problema di avere così tanti successi all’attivo nella propria carriera è che si finisce col non sapere dove metterli. Il pubblico si aspetta di ascoltarli tutti quando ha la rara opportunità di passare delle ore in un teatro in compagnia di Burt Bacharach, e lui deve trovare una formula per non deludere nessuno. Ecco dunque un originale show che alterna medley di brani popolari ad esecuzioni integrali di pezzi tratti del suo repertorio più recente (e meno noto) per un totale di tre ore di concerto che l'ottantenne pianista e compositore di Kansas City fa scivolare via con disinvoltura, senza sentirne minimamente il peso.

L'apertura delle danze è affidata a Mario Biondi che, come egli stesso sottolinea, deve molto al maestro statunitense; con la sua voce bollente ha scaldato il pubblico al punto giusto, con cinque pezzi tra i quali non potevano mancare I Love You More e This Is what You Are.

Burt Bacharach fa il suo ingresso in scena dopo che tutti gli altri musicisti hanno già preso posto, saluta il pubblico e si siede al pianoforte a coda, elegante e classico, come ci si aspetta da un autore di classici indelebili. Un accenno di What the World Needs Now is Love infuoca gli animi del pubblico che subito dopo è trascinato nel medley delle immortali Don't Make Me Over, Walk On By, This Guy's In Love With You, I Say A Little Prayer For You, Trains And Boats And Planes, Wishin' And Hopin' e (there's) Always Something There To Remind Me interpretate dale impeccabili cantanti.

One Less Bell To Answer è il primo brano suonato in versione integrale, subito seguito da I'll Never Fall In Love Again. Sulle note di Only Love Can Break A Heart e Do You Know The Way To San Jose le due cantanti si alzano dai rispettivi sgabelli per un’interpretazione ancora più coinvolgente. Anyone Who Had A Heart è seguito da un lungo assolo di tromba e dall’interpretazione dell’unica voce mascile (oltre naturalmente a quella del compositore)

Il secondo medley si apre con il più popolare dei brani, Magic Moment, che presto lascia spazio al più toccante dei brani del concerto The Look Of Love in cui lo stesso Bucharach intona parte del cantato provocando uno scrosciante applauso del pubblico. La sfilza di successi continua con What's New, Pussycat, Arthur's theme e termina con Raindrops Keep Fallin’ on My Head.

Nella scaletta c’è spazio ancora per qualche brano del repertorio più recente prima del gran finale con la ripresa di What The World Needs Now Is Love e Raindrops Keep Fallin' On My Head che lasciano un pubblico in tripudio pienamente appagato.

Domenica, 27 Luglio 2008 12:44

La suggestione della semplicità

LEONARD COHEN

 

Luogo: Lucca, Piazza Napoleone

Data: 28 luglio 2008

Evento: Summer festival

Lucca, Piazza Napoleone, un bicchiere di vino rosso, un posto a sedere: lo scenario è impeccabile, il palcoscenico imponente. L'aria si carica di un misto di eccitazione e misticismo, sembra che nulla possa intaccare la perfetta atmosfera che precede l'ingresso di Leonard Cohen. Tuttavia, una pecca c'è: il cantautore canadese, puntuale come l'orologio che tiene al polso, inizia lo show come da programma, ma è il sistema ad incepparsi e qualche centinaio di persone restano bloccate all'esterno dell'area con i posti numerati. Riesco solo ad intuire le splendide Dance Me To The End Of Love e the The Future tra le urla della gente infuriata accalcata agli ingressi che non vorrebbe perdersi neanche una nota di un incipit così importante. Ancora qualche attimo di sofferenza e finalmente riesco a prendere posto; bastano pochi secondi perchè il timbro di Cohen spazzi via ogni traccia di nervosismo dal mio stomaco per riempirlo di pace ed emozioni positive.

Chitarra a tracolla (come accadrà per l'esecuzione di altri classici degli inizi) Cohen intona Bird on A Wire: l'interpretazione è da pelle d'oca, l'incantesimo completo. La scaletta non si abbassa mai di tono e l'ensamble dà il via a Everybody Knows subito seguita da In My Secret Life, un'escalation di successi che provoca ripetuti scrosci di applausi tra il pubblico entusiasta. Cohen non perde occasione per presentare la formazione composta da eccellenti musicisti. Sembra compiaciuto ed allo stesso tempo ammirato quando, alla fine di ogni assolo, si toglie il cappello e umilmente accenna un inchino per ringraziare l'esecutore che ricambia il gesto di stima.

E' il momento di Who By Fire, intonata come da copione duettando con la corista, e Hey, That's No Way To Say Goodbye prima che Anthem chiuda la prima parte del concerto, tenuto in perfetto equilibrio dall'alternanza di brani del primo Cohen e quelli tratti dalla sua discorafia più recente.

Dopo la pausa il menestrello settantaquattrenne torna sulla ribalta saltellando e il pubblico viene deliziato da brani del calibro di Suzanne, The Gypsy's Wife e Halleluja, la cui interpretazione, così densa e toccante, non avrebbe lasciato indifferente nemmeno l'animo più arido. La seconda parte del concerto trova conclusione (e un'altra occasione per nominare i musicisti) sulle note di I'm Your Man.

Cohen è molto disponibile all'interazione col pubblico, raccoglie i complimenti e risponde con cortesia, gioca con l'audience promettendo risposte che finiscono in suoni giocosi e privi di senso. Si instaura un rapporto quasi confidenziale che riesce a mettere a proprio agio l'una e l'altra parte dopo quattordici anni di lontananza.

So Long Marianne dà inizio alla lunga serie di bis, in cui Cohen lascia molto spazio alle brave e affascinanti coriste e agli assoli di Neil Larsen (tastiere, strumenti a fiato), Bob Metzger (chitarre e voci), Javier Mas (chitarre acustiche), Rafael Gayol (batteria e percussioni) e Dino Soldo (tastiera, sassofoni e voci). Sister Of Mercy è l'ennesimo successo che ci viene proposto, ma la terza ora di concerto sta quasi per scadere e tutti si aspettano ancora qualcosa. Alcune voci si alzano dal pubblico invocando Chelsea Hotel, mentre io continuo a sperare in Famous Blue Raincoat. Il tempo avanza rapidamente e senza accorgercene siamo nel mezzo di Closing Time un titolo che non lascia adito a dubbi circa l'imminente e definitiva chiusura dello show. Il palcoscenico si svuota rapidamente e a noi non resta che un senso di appagamento e il ricordo di un evento unico, venato dal rammarico per il vuoto lasciato da quel brano, un vuoto che difficilmente avrà un'altra occasione per essere colmato.

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