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SENZA MUSICA LA VITA SAREBBE UN ERRORE Friedrich Nietzsche

Venerdì Marzo 29, 2024
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Antonino Di Vita

Antonino Di Vita

Profilo: basso.
Onnivoro (rock, jazz, blues, classica, folk, elettronica, funk, soul), nato a Pavia, dove risiede tuttora, ha una formazione musicale trascorsa fra dischi in vinile, audio cassette, riviste specializzate, libri, tablature, pentagrammi e locali fumosi. Chitarrista a livello amatoriale, ha seguito i corsi del CDM (Centro Diffusione Musica) di Pavia per tre anni, proseguendo successivamente da autodidatta nello studio dello strumento. Ha frequentato il Corso di Giornalismo e Critica Musicale organizzato dalla Vanni Editore nel 2010 e sempre nello stesso anno il seminario di Musicologia e Giornalismo Jazz tenuto da Stefano Zenni e Luca Bragalini nell'ambito della rassegna Chietinjazz. Attualmente scrive, oltre che per AMAmusic, anche su Jazzit, Il Turismo Culturale, Intervistando Web TV e collabora con la Jazz Friends Association di Pavia.

Le traiettorie polifoniche di Mr. Burton

 

Cosa accade quando le strade di un sofisticato rivoluzionario del vibrafono quale è Gary Burton, incrociano quelle della pirotecnica sezione ritmica Colley/Sanchez e di una giovane promessa della chitarra come Julian Lage? Semplice, si verifica una perfetta sinergia di talenti creativi da cui scaturisce grande musica in dosi illimitate.

É un itinerario affascinante quello proposto dal trio Caine/Ambrosetti/Di Castri al pubblico convenuto all'Auditorium. Un viaggio temporale che prende le mosse dalle intuizioni di Bach (padre della moderna sintassi musicale), allacciandosi, attraverso un sagace gioco di incastri e richiami, al jazz, mettendone in risalto le analogie.

Il progetto Miles Smiles celebra il genio di Miles Davis e nasce da un idea di Wallace Roney, suo pupillo nonché talentuoso trombettista dotato di una sonorità corposa, in possesso di una tecnica che lo accomuna alla precedente generazione di strumentisti più che ai suoi coetanei.

Martedì, 30 Aprile 2013 15:05

Didier Lockwood Quartet // Note ardenti

Un “elettrizzato” Didier Lockwood, alla testa del suo quartetto di all stars, ha appassionato il pubblico intervenuto al Teatro President con un excursus tra generi e stili che ha reso il concerto un sapido melting pot.

Venerdì, 26 Aprile 2013 09:35

Gonzalo Rubalcaba // In costante mutamento

La pratica del piano solo può risultare insidiosa, ha la facoltà di sprigionare estatiche performance o trasportare l'artista verso vuote digressioni autocelebrative. Sul palco dell'Auditorium del Conservatorio “G. Nicolini” Gonzalo Rubalcaba a dato prova, con estrema eleganza e una perfetta dizione, di saper evitare le trappole presenti in questo tipo di esercizio.

Mauro Ottolini si presenta sul palco del Piacenza Jazz Fest alla testa dei suoi Sousaphonix, pittoresco quanto eclettico ensemble aperto fondato nel 2008, naturale appendice del suo estro creativo.

Spetta a Javier Girotto & Aires Tango aprire ufficialmente il Piacenza Jazz Fest, giunto (con soddisfazione) al giro di boa delle dieci candeline. Un traguardo di gran peso, che colloca la rassegna emiliana nel novero dei festival di settore più accreditati in ambito nazionale, una proposta variegata dagli alti standard qualitativi.

 

Il direttore artistico Gianni Azzali e il sindaco di Piacenza Paolo Dosi hanno sottolineato nel discorso introduttivo come, nonostante mille difficoltà, si sia riusciti a mantenere viva una realtà strutturata come questa, divenuta ormai appuntamento imprescindibile per gli appassionati di jazz. Il concerto si è tenuto all'interno della location Le Rotative, ex area industriale legata alla storia del quotidiano locale Libertà, riconvertita in spazio multimediale; l'orario insolito non ha condizionato l'affluenza di pubblico, numeroso e carico d'aspettativa. Aspettativa risolta dall'esibizione degli Aires Tango, formazione che vanta ormai un affiatamento simbiotico frutto di una convivenza quasi ventennale (il gruppo è stato fondato nel 1994).

 

La musica del quartetto è una sapida ricetta che bilancia in modo intelligente stilemi del tango e improvvisazione jazz, innestando sapori etnici di origine andina che ne allargano l'orizzonte espressivo. Gli schemi armonico/ritmici del tango vengono espansi da un approccio tipicamente jazzistico (preponderante), attraverso un altalenante gioco di linguaggi.

L'attento controllo delle dinamiche, permette invece passaggi repentini dai pianissimo ai fortissimo, increspando l'incedere narrativo, caratteristica riscontrabile nel tango di Piazzolla, figura di riferimento per il gruppo. Girotto sfoggia un fraseggio fluido, ricco di cromatismi e dalla inesauribile cantabilità (anche nelle sortite solistiche), tratteggia struggenti pagine liriche o porta il sax soprano ai limiti dell'estensione inerpicandosi in sanguigne declinazioni. Contraltare del leader, Gwis avvicenda un accompagnamento sobrio e discreto (con sviluppo di linee tematiche anche sulla mano sinistra) ad accesi impeti solistici. Fondamentale in questo contesto l'apporto ritmico, elemento base della musica latina e di tutti gli idiomi di derivazione africana, ben espresso dalle suggestioni percussive di un fantasista come Michele Rabbia affiancato dalle linee umorali del basso elettrico di Marco Siniscalco.

 

La scaletta ha pescato sia nel repertorio storico che nelle incisioni più recenti: dall'apertura in crescendo, con un medley dei brani Pasión Albiceleste, Alborada e Caida Lenta, all'intensa dedica dai contorni malinconici Abuelas de Plaza de Mayo, suonata da Girotto al flauto andino (uno dei vari modelli in suo possesso), senza tralasciare le movenze tangueire di Pichuco e le poliritmie di La Luna. Nel mezzo Il Senso della Vita, Felliniana e 11 Mayo. La scelta del bis cade su Mi Niño, collage di ninne nanne da cui fuoriescono assonanze Haydniane.   

 

 

 

La quindicesima edizione prende congedo con una prima assoluta, una proposta esclusiva che affida il suo varo proprio a Pavia: il binomio Tim Berne/Mary Halvorson, sbarcati direttamente da New York poche ore prima.

Al terzo incontro “Dialoghi: jazz per due” raddoppia la proposta. Quattro sassofoni coabitano sul palco di Santa Maria Gualtieri (in totale assenza di strumenti armonici e ritmici) alternandosi in differenti combinazioni: solo, duo, quartetto.

Poetiche fluttuazioni

Il pianismo narrativo di Giovanni Guidi interloquisce con la policromia espressiva del trombone di Gianluca Petrella a ricamare un patchwork sonoro libero da gabbie formali.

Queste le coordinate che hanno contrassegnato il secondo appuntamento della manifestazione pavese. Un sodalizio umano e artistico nato tra le fila del quintetto di Enrico Rava, vero e proprio laboratorio di talenti, che ha trovato spazi d'interazione anche in altri contesti come la Cosmic Band di Petrella o il rodato tandem con cui si sono presentati questa sera sul palco di Santa Maria Gualtieri, terreno aperto su cui confrontarsi in acrobatici dialoghi senza rete.

 

I due musicisti fanno ormai parte, a diritto, di quell'eccellenza del jazz italiano prospero di riconoscimenti anche fuori dai confini nazionali (i premi Django d'Or e Bird Award di Petrella e relativo sbarco nel Critics Poll di Down Beat), che ha saputo rinnovare il proprio linguaggio delineando nuove latitudini. Tra palpitazioni free (pratica cara ad entrambi) e cogitazioni liriche, Guidi ha sfoggiato una personalità musicale mutevole, che alterna un intenso canto melodico concentrato nella porzione centrale della tastiera, a guizzi diatonici nelle zone estreme del pianoforte, riconfermando (se ancora fosse necessario) una tecnica filigranata sorretta da un raffinato controllo dinamico/ritmico del fraseggio, con echi di Tristano e Jarrett.

 

L'indiscussa perizia strumentale di Petrella viaggia di pari passo con la sua fantasia: giochi timbrici, distensioni liriche, accesi impeti espressionisti, in rapporto di complementarietà con le linee estroverse o intimiste di Guidi. Una musica che fluttua fra romantica poesia e stridenti contrasti, tradizione e contemporaneità, idiomi eurocolti, blues torridi, standard e avanguardia, con una percentuale rilevante di improvvisazione (spina dorsale del jazz) e accenni scritti da cui emergono una distillata Over The Rainbow o una trasfigurata Baby Please Don't Go in un puzzle di citazioni e riletture. A volte la trama si sviluppa su arpeggi circolari, dando luogo ad astrazioni di sapore mediterraneo, in altri frangenti si fa rarefatta, dilatata, col trombone di Petrella impegnato in lunghe note sospese o eufoniche volute.

 

Un flusso continuo di input che generano scenari variabili, a rimarcare il carattere avventuroso e incline al rischio dei due musicisti. La rivisitazione estemporanea di un paio di standard per il bis chiude un concerto privo di momenti statici o ricorsi a rassicuranti quanto logori cliché.

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