Una formazione adrenalinica, che sabato sera nella cornice del Teatro Verdi di Fiorenzuola D'Arda ha messo in scena un concerto strepitoso (e qui i superlativi si sprecherebbero), a deliziare le orecchie di chi ha avuto la fortuna di poter assistervi. Burton non ha bisogno di presentazioni, la sua figura campeggia nel Gotha del jazz; grazie all'utilizzo simultaneo di quattro martelletti ha rinnovato la concezione dello strumento sviluppando una tecnica polifonica con cui costruisce linee complesse con disarmante disinvoltura. Una carriera costellata di collaborazioni e riconoscimenti (anche didattici), dal quale fuoriescono nomi del calibro di Chick Corea, amico di lunga data, Stan Getz, Larry Coryell, Steve Lacy, Keith Jarrett, Gato Barbieri, Astor Piazzolla, Pat Metheny, Carla Bley e la lista potrebbe continuare all'infinito.
Scott Colley e Antonio Sanchez rappresentano una delle sezioni ritmiche più generose e deflagranti dell'attuale panorama jazz, muscolare e raffinata al contempo (sia dal punto di vista timbrico che del timing). Il grado d'interazione fra loro ha raggiunto livelli altissimi, tale da permettergli ogni sorta di acrobazie, una simbiosi che origina stimolanti tappeti poliritmici.
Per ciò che concerne Julian Lage, talento naturale e nuovo astro nascente della scena chitarristica californiana, è stato proprio Burton (fra i suoi insegnanti al Berklee College of Music di Boston) a introdurlo nell'ambiente. Il suo virtuosismo, sempre mediato dal gusto, mostra un attento uso delle pause ed esibisce una rigorosa plettrata alternata.
La scaletta del concerto, attinge in larga parte ai due album del quartetto nati dalla recente joint venture con l'etichetta Mack Avenue Records: Common Ground e l'ultimo Guided Tour. Il flusso di suoni cristallini che emana il vibrafono levita su cadenze afrocubane nell'iniziale Afro Blue, composizione di Mongo Santamaria datata 1959.
Burton è poliglotta, passa indistintamente dal latin sopracitato alla fusion dei due brani a firma Lage (The Lookout, Sunday's Uncle), dove il chitarrista sfoggia un fraseggio blues e temi tortuosi costruiti su tempi dispari, per poi approdare al tango nel suo omaggio ad Astor Piazzolla, Remembering Tano, senza scordarsi di includere una ballad universale come My Funny Valentine, elegantemente risolta. Never The Same Way di Scott Colley, da Common Ground, propone un articolata partitura metricamente composita, da cui traspare la caratura del contrabbassista anche in ambito compositivo. Stesso discorso per quanto concerne il brano di Sanchez Did You Get It?, swingante gioco poliritmico.
Lo swing è ancora protagonista nello standard di Fragos, Baker e Gasparre I Hear A Rhapsody, Burton si invola sulle lamelle del suo vibrafono con complessa semplicità. Il leader cede sovente il proscenio ai propri musicisti, fino a lasciare Lage in completa solitudine per un set che provoca l'ovazione del pubblico.
Il concerto chiude sugli accenti blues di Bags' Groove di Milt Jackson, dall'omonimo album di Miles Davis. Uno spettacolo che ha riconfermato (ma forse era scontato), a settant'anni “suonati”, la verve tecnica e creativa di un vero leone del jazz.
FORMAZIONE
Gary Burton (vibrafono)
Julian Lage (chitarra elettrica)
Scott Colley (contrabbasso)
Antonio Sanchez (batteria)
SCALETTA
Afro Blue (Mongo Santamaria)
Never The Same Way (Scott Colley)
I Hear a Rhapsody (autore non indicato)
Remembering Tano (Gary Burton)
Sundays Uncle (Julian Lage)
The Lookout (Julian Lage)
Late Night Sunrise (Vadim Neselovsky)
My Fynny Valentine (Richard Rodgers)
Did you get it? (Antonio Sanchez)
Bags Groove (Milt Jackson)