La tragedia di Cincinnati, Ohio, del dicembre 1979. Ma anche il grave stato di frustrazione psico-fisico cui verteva Pete Townshend, sfinito dalla stanchezza e lo stress creativo di oltre quindici anni da main songwriter nonché da problemi di alcool e droga. Invece il gruppo si ricompatta nel 1980, si chiude in studio per una manciata di mesi e nel marzo dell'anno successivo emette il seguito di Who Are You, ossia Face Dances, con Kenney Jones, ex Small Faces, alla batteria.
Con simili premesse era lecito attendersi un lavoro in tono minore, invece il disco, lungi dal capolavoro, risulta discreto. Si nota che, con molta umiltà, i quattro cercano di ripartire imbastendo trame immediate, lineari, piuttosto omogenee negli arrangiamenti, ossia l'esatto contrario dell’album precedente e senza picchi particolari nei risultati, probabilmente per rendersi conto se poter dare o meno una nuova possibilità alla seconda generazione degli “Who”.
Townshend pennella riff tanto rassicuranti quanto risaputi per creare un senso di continuità, come in Cache Cache o nella deliziosa Don’t Let Go The Coat, suo nuovo omaggio al santone indiano Meher Baba, cui era devoto da anni (Baba O’Riley ecc.). Dove spinge un po' sull’accelleratore si ottengono risultati più convincenti. L’opener You Better You Bet è un rock gagliardo e velatamente nostalgico, con quel pizzico di scabrosità che non avrebbe mal figurato in dischi selvaggi come Who’s Next, tra l’altro citato nel testo, e si dimostrerà anche un apprezzato numero on stage.
Anche Daily Records è spigliata e vigorosa, e tra le trame del testo pare esplicitarsi una dichiarazione d’intenti ben precisa, ossia il voler proseguire malgrado le avversità. Il pezzo ha il solo difetto di chiudersi bruscamente proprio ove avrebbe meritato qualche ulteriore sviluppo.
Il meglio è rappresentato dalla finale Another Tricky Day, con una struttura laboriosa e trascinante, un refrain dove lampeggiano parallelismi celesti con una closing track ben più celebre e celebrata, ossia Won’ t Get Fooled Again, e la speranza concreta di aver imboccato la direzione giusta.
Le canzoni di John Entwistle naturalmente non tradiscono, sia sotto forma della hard-rocking The Quiet One, piuttosto che nella fremente You, interpretata da Roger Daltrey (Entwistle era normalmente il vocalist dei pezzi che scriveva).
Il bassista pare aver accantonato la predilezione per il surreale ed il macabro con i quali raggiungeva vette di grande originalità ed ora bada alla sostanza, aderendo al nuovo corso della band, ricostruire e rimettere in pista, per i fronzoli ci sarà tempo. Adesso le sue proposte sono rock senza compromessi, con brani più arrabbiati e pungenti di quelli di Pete, a dimostrazione della raggiunta maturità compositiva. Nell’opera successiva, cosi come già in Who Are You, John contribuirà ben tre pezzi.
A completare Face Dances un paio di espressioni marginali come How Can You Do It Alone ed i suoi improbabili coretti reggae e l’insistita, dilatata Did You Steal My Money.
Alla fine dell’ascolto affiora la sensazione che il complesso possa aver attraversato (quasi) indenne la burrasca; certo, il drumming di Jones manca inevitabilmente della geniale esplosività di Keith ma è solido e regolare, il che rappresentava esattamente ciò di cui il gruppo aveva più bisogno in quel momento. Il vocalism di Daltrey mantiene ancora pressoché inalterata la freschezza dei tempi d’oro e la sua sfavillante presenza scenica avrebbe guidato al successo gli Who nella lunga serie di tappe dal vivo successiva alla pubblicazione di Face Dances e del seguente, e migliore, It’s Hard.
Ripartenza riuscita, insomma, anche se purtroppo la nuova stagione sarà malauguratamente breve.