Terza prova da studio per il musicista bolognese e prima, meritata, vera affermazione presso critica e pubblico.
Questo “Luca Carboni”, edito a fine settembre del 1987, raccoglie la summa dei primi cinque anni di lavoro, e regala spunti assai interessanti, che illustrano quella che sarà la linea stilistica del cantautore nel corso della sua carriera. Ossia tanta melodia, di buona/ottima fattura, poche digressioni nel rock in senso stretto e testi che in massima parte attengono a tematiche social-popolari. Esempio classico ne è il singolo battistrada, l’espressione meno significativa in verità, ma dal maggior potenziale commerciale, “Silvia lo sai”, dove storie di droga e flashback di velleità giovanili si mesciono in uno struggente quadretto ad uso e consumo di teenager in adorazione. Per fortuna Carboni sa volare più alto, e lo dimostra dubito nella traccia successiva.
In “Caro Gesù”, il giovane Luca parla a nostro Signore come a un coetaneo incontrato in aeroporto, e il monologo sortisce elucubrazioni illuminanti (_“..le case in affitto non esistono più/ ricordi questo è un problema che hai avuto anche tu..”), _intuizioni_ _ fintamente lapalissiane _(“i soldi lo so che non danno la felicità/Immagina però come può stare chi non li ha), _oppure_ _richieste d’induzione in tentazione_ (“fammi entrare nel business…)._ “Lungomare” è lo sgomento di fronte alla ruota esistenziale che gira senza sosta, il padre che pesca in mezzo al mare, la sola compagnia delle luci della terra ferma viste da lontano cui “_arriva leco di canzoni da ballare - invidia il figlio che è là e corre forte / sulla sua moto da enduro_”. Si tratta dei due episodi migliori del disco, supportati da musica riflessiva, perfettamente adeguata alla situazione. Ma gli altri non sono da meno.
Il rispettoso minimalismo de “Gli autobus di notte”, ad esempio; oppure il tenero slow tempo di “Farfallina”, in cui giovane duetta col volatile aprendosi su speranze e ambizioni, solitudini e timori, riassumibili in: “_Sembri libera e felice / O a volte piangi un po’…”._ Questioni irrisolute che si dipanano sul finale guidato da una tastiera sorda e impersonale, ed agitato dalla chitarra distorta in assolo. Dove questa prova si veste d’un po’ di rock (non molto, giusto un assaggio) è nella futuristica “Vieni a vivere con me”, scritta coll’ex collega di band Nicola Lenzi, che anticipa d’un ventennio l’ideale delle coppie di fatto e mantiene nei toni la stessa utopica, giovanile energia delle altre canzoni. Certamente meglio della presuntuosa “Voglia di vivere”, la cui melodia, decisamente piacevole, fa a pugni col testo. Era troppo giovane Carboni, a 24 anni, per giocare allo Stevens di “Father to son”? Probabilmente si, ed il tono paternalistico con cui si rivolge al bimbo sulla spiaggia e gli riempie la testa di sogni, auguri e speranze suona leggermente eccessivo… Tuttavia il livello dell’opera si mantiene mediamente alto. “Continuate così” è una filastrocca allegra, vestita di simil-funky, la risposta a “Farfallina” anche stilisticamente, e a tutti i suoi dubbi vitali, per dar finalmente via libera al Sogno: _“Continuate a svolazzare / a salutare la primavera e me / sul davanzale, che odio il buio della sera /Voglio venire con voi…”_ . “Chicchi di grano”, infine, chiude con il dovuto momento d’intimità. I tre accordi che rivestono il pezzo sono quelli illusori dell’amore post-adolescenziale, giurato eterno prima che venga sotterrato da altri che pian piano diventeranno semplici avventure. Ma nel refrain il brano s’avvolge in una melodia matura e malinconica, ribadendo la bontà della proposta di Carboni. il successo arriso a “Luca Carboni” è tutto sommato meritato. Alcune di queste tracce sono già degne d’esser considerate dei classici del cantautorato, per l’intensità e le sensazioni che suscitano, penso a “Caro Gesù”, “Lungomare” o anche “Chicchi di grano”. Un’artista che non ha forse il rock nelle sue corde, fino a questo momento, ma trasmette all’ascoltatore il proprio innato, coinvolgente senso della melodia, con risultati più che apprezzabili.