Così assistiamo negli anni ’80 a due opere soliste, una di Roger (Final Cut) e una di David (Momentary lapse of reason), sotto l’ingannevole sigla Pink Floyd. Dopo la pubblicazione di Final e l’aspra battaglia legale che seguì, con l’abbandono di Waters, non sembravano esserci davvero motivi per posticipare ulteriormente lo scioglimento. L’uscita di A Momentary Lapse Of Reason fu per certi versi una delusione, perché non fece che rafforzare la convinzione che fosse meglio lasciar perdere.
Una manciata di belle canzoni (l’incantevole Learning To Fly su tutte, meglio ancora della ballata sicura On The Turning Away) sul primo lato, un eccesso di ripetitività, di dejà-vu sul secondo. Alcuni brani strumentali, irreprensibilmente suonati, d’effetto e d’atmosfera, di cui la parte più toccante è l’assolo di sax di Terminal Frost, che però poi si dilata in un finale superfluo. Rock pesante nella pacifista Dogs Of War, e più funky nella ostica One Slip. Ma brani come Yet Another Movie o anche la epica Sorrow che chiude l’album, sanno troppo di classico floydiano per urlare al miracolo. Troppo scheletrici nella loro uniformità, ci si aspetta solo che parta l’ovvio assolo di chitarra senza uno spunto creativo particolare, qualcosa che dia un motivo per ritenere l’album una maturazione stilistica. Non aiuta il tardivo e limitato inserimento di Rick Wright, qui in veste di semplice salariato, prima della definitiva reintegrazione in Division Bell; le sue soluzioni compositive avrebbero forse migliorato l’esito dell’opera. Dicasi la stessa cosa per gli arrangiamenti, certamente ariosi e lontani dal minimalismo watersiano, ma a loro modo altrettanto incompleti, ed eccessivamente basati su chitarra e tastiere; qualche pezzo lento guidato dal pianoforte, misteriosamente assente dal disco, avrebbe certamente giovato, senza per forza scomodare Great Gig In The Sky. Non molto da dire sui testi, dei quali il più interessante pare essere proprio l’haiku della doppia A New Machine, apprezzabile pure sul piano melodico. Val la pena ricordare come, curiosamente, con le parole di Dogs Of War o anche Turning Away, Gilmour parrebbe volersi riagganciare alle tematiche sociali tanto care al suo ex compagno bassista, nel tentativo forse di guadagnare considerazione a livello poetico.
Si potrebbe dire, in soldoni, che ciò che manca è proprio l’inventiva di Waters, che non a caso aveva raggiunto negli anni l’egemonia nel songwriting. Final Cut avrà forse deluso chi riteneva i Floyd fossero ancora un’unica essenza come in Meddle o Dark Side e specialmente chi aborriva la dilagante paranoia sociale del suo autore, ma a livello emozionale raggiungeva apici mai visti, nemmeno in Wish You Were Here. Non è il caso di Momentary purtroppo, e meglio avrebbe fatto Gilmour a portare avanti quella che era la sua intenzione originale, ossia uscirsene con la sua terza opera solistica ed appendere al chiodo il marchio Pink Floyd. Magari nel tentativo di affrancarsi dal grande circo floydiano e crearsi una nuova dimensione artistica. Ma le leggi del mercato sono altre.