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Riflessioni

Riflessioni (32)

Riflessioni

Martedì, 17 Luglio 2012 13:48

Jon Lord, l'innnovativo

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E’ scomparso in questi giorni uno dei più talentuosi tastieristi che la scena rock abbia visto in azione: parliamo di Jon Lord, settantun anni compiuti da qualche settimana, anima storica dei Deep Purple, per i quali impreziosì i suoni di virtuosismo in tutti i dischi editi tra il 1968 e il 1998.

Lord ha attraversato il pianeta- tastiera sperimentandone ogni possibile ambito, ed invariabilmente con risultati strabilianti. Formatosi da studi classici (frequentò il Royal College of Music a Londra), s’interessò dapprima agli ambienti jazz, per poi essere catturato, a metà degli anni sessanta, dal vortice del rock psichedelico, del quale era impregnata profondamente la prima proposta artistica del gruppo, sino ad approdare all’hard rock così come l’abbiamo maggiormente conosciuto e apprezzato.

Nel primo settennale di vita della band, Lord ne fu fondatore e leader artistico: nei primi dischi dei “Deep Purple”, e in modo particolare in “The book of Talyesin”, il musicista comincia a trasferire su vinile la sua massima ambizione: fondere rock E classico; il risultato è udibile in tracks come “Shield” o “Anthem”. L’amore per la sperimentazione portò Lord a raggiungere traguardi impensabili, per l’epoca: come l’ amplificare il proprio Hammond attraverso un Marshall da chitarra, agevolando così non poco il lavoro dell’unico chitarrista Blackmore che si sforzava per dare ai Purple il suono più duro possibile. Contrario, assolutamente, all’avvento del sintetizzatore, che adoperò col contagocce, arrivò a perfezionare questa sua tecnica particolare in album come “In rock”, 1970, a ragione ritenuto il vero capolavoro del gruppo, in tracce quali “Child in time” o “Speed king”. I Purple terminarono poi la prima parte della loro esistenza a metà decennio, con l’abbandono di Blackmore, susseguente a quelli di Gillan e Glover.

Negli anni successivi, Lord intraprese una carriera solistica inevitabilmente di più basso profilo rispetto a quella con la band, ma nel corso della quale si tolse, per sua stessa ammissione, le migliori soddisfazioni, come in “Sarabande” o nel sofferto, più orientato al classico “Pictured within”, della fine degli anni ’90. Per quell’epoca, i Deep Purple s’erano già riformati, ripartendo da “Perfect strangers” (1984), naturalmente con la presenza del tastierista, che vi rimase sino allo scioglimento definitivo, sancito da un’opera dal titolo profetico, “Abandon” del 1998. Da non dimenticare la sua presenza, in tono leggermente defilato, nei Whitesnake di David Coverdale. L’ultimo lavoro di Jon Lord è un prodotto blues-rock, datato 2007, sotto la sigla “Hoochie Coochie Men”. Poi la battaglia con il cancro, intrapresa nell’agosto del 2011 e persa meno di un anno più tardi.

Quale modo migliore di rendere omaggio al genio di Lord se non quello di (ri) scoprire la sua musica? Oltre alle citate opere da studio, imprescindibile è l’ascolto delle produzioni live più emozionanti, quali “Concerto for Group and Orchestra” del 1969, o “Made in Japan” , del 1972.

Mercoledì, 20 Giugno 2012 11:25

Macca turns seventy

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Paul McCartneyChissà se Paul Mc Cartney, uno degli invitati eccellenti ai festeggiamenti per il 60esimo di regno della regina Elisabetta, ha pensato almeno per un momento all’anniversario che, meno di due settimane dopo, avrebbe visto lui protagonista. Perché lunedì 18 giugno, oltre a dover pagare (grazie Monti!) l’ennesima tassa iniqua cui il Bel Martoriato Paese è soggetto, il fan medio italiano avrà rivolto un certo un pensiero al Macca nostro che, come direbbero oltremanica, turns seventy.

Settant’anni da mito vissuti neanche troppo pericolosamente, a parte qualche trascurabile vicissitudine giudiziaria, come quella derivante dallo scherzetto che l’amico Lennon (più sua moglie che lui) gli giocò nel gennaio 1980, avvisando le autorità giapponesi che l’ex bassista dei Beatles stava entrando in suolo nipponico con dell’erba in valigia (per la cronaca, scherzo pesantino: una settimana di galera, e non esattamente in una suite).

A proposito di Beatles, sembra fatto apposta, ma tra pochi mesi (5 ottobre) saranno cinquant’anni dalla pubblicazione del primo 45 giri: Love me do/P.S. I love you. La brevità della carriera dei Beatles, come ogni altra cosa riguardante il complesso, è stata fatta oggetto di studi e pubblicazioni d’ogni genere, ed uno dei peggiori e più difficilmente estirpabili luoghi comuni sulla band è che la sua fine sia stata decisa da Paul. Non è così, e ve lo dice un lennoniano de féro.

Sul finire del 1968, John si sente già un ex, abbagliato com’era dalla figura di Yoko Ono, le cui colpe nello scioglimento del complesso sono assolutamente consistenti, la quale in un colpo solo aveva sostituito Cyhntia Powell e i Beatles, diventandone moglie, partner artistico, forse persino personificando la figura della madre che John aveva traumaticamente perso due volte, anche se qui si esce un po’ dal seminato. Era stato Paul ad assumere allora la direzione artistica del gruppo, spingendolo (in armonia con George Martin) ad affrontare il progetto Get Back, quelle famose session dal vivo senza sovra incisioni del gennaio ’69, per recuperare lo spirito dei tempi d’oro, cozzando però ben presto contro il disinteresse e l’anarchia generale. Nel corso dei mesi successivi, McCartney fece di tutto per tenere insieme il gruppo, anche tiranneggiando, certo, non era possibile lasciar naufragare così un'avventura irripetibile senza lottare. Ma i mulini a vento sono quello che sono. Quando, ai primi del 1970, ascoltò il vinile di Long and winding road e si rese conto dello scempio che Spector-il-pazzoide aveva fatto sulla sua musica, semplicemente capì che non era più cosa. Si prese poi lo sfizio di annunciare al mondo la fine della band, un atto forse subdolo ma figlio della frustrazione. Un altro luogo comune lungo come la fame è il fatto che le sue opere soliste siano delle schifezze. Certo, lo shock da scioglimento può portare a Wild Life, ma due anni dopo anche a Band on the Run. Gli album degli Wings, dileggiati all’uscita, hanno opportunatamente subito col tempo una revisione critica che ne ha riconosciuto il vero valore. E gli altri? Andatevi a riascoltare i dischi di McCartney degli ultimi cinque lustri, diciamo da Flowers in the dirt a Flaming Pie, da Driving Rain a Memory almost full, passando per Chaos and Creation in the Backyard, datato 2005, il capolavoro assoluto; commuovetevi per Friends to go o English Tea e liberatevi dal pregiudizio.

Settant’anni costantemente sotto i riflettori, più di Dylan, che li ha compiuti da un anno, o di Jagger, che li compirà l’anno prossimo. Anche per i quasi trent’anni di matrimonio con “The lovely” Linda Eastman, interrotti da un tumore e non da quelle separazioni milionarie tipiche delle unioni tra vip. Pratica solo rimandata al 2006, grazie alle nozze sbagliate con Heather Mills; ma Paul è, evidentemente uno che all’amore ci crede, così ci ha riprovato: il 9 ottobre (questa data mi ricorda qualcosa) 2011 ha sposato Nancy Stivell. E se ci crede lui, figuriamoci se non ci credono le mogli, che sposano una banca vivente.

Settant’anni, infine, in cui a parlare per lui è stata la musica. Se c’è qualcosa su cui non si potrà mai discutere, è l’abilità del musicista McCartney. E i suoi live restano degli happening in piena regola. Andatevi a rileggere la cronaca entusiasta del ns.collega Signorelli sul live di sette mesi fa a Milano. Happy birthday, allora, Sir Paul.

Mercoledì, 09 Maggio 2012 23:26

Billy Joel // Un ventennio di silenzio

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«Non ho più niente da dire»

Billy Joes - Un ventennio di silenzioSe qualcuno rivolgesse a Billy Joel la seguente domanda: «Mr. Joel, abbiamo notato che lei non incide più un album di inediti da quasi un ventennio, potrebbe significarcene la ragione?», il pianista e cantante newyorchese si liscerebbe il pizzetto osservando di sbieco l’incauto intervistatore e replicherebbe asciutto: «Non ho più niente da dire».

L’ ultimo prodotto da studio del ragazzo di Piano Man, fresco dei suoi 63 anni compiuti proprio oggi, risale infatti al 1993, il serioso River of Dreams, trainato da brani di successo come la title track o All about soul. L’artista aveva dichiarato, dopo la pubblicazione, che sarebbe stata la sua ultima fatica, almeno in ambito pop-rock. Nessuno gli credette. Ed agli scettici non era facile dar torto.

La storia della musica rifulge di lacrimevoli, commosse dichiarazioni di addio, di “final farewell tour”, di basta non ce la faccio più, puntualmente sbugiardate dagli sviluppi successivi. E’ storia di pochi mesi fa la dichiarazione in tal senso di Ivano Fossati, che ora attende d’essere confermata dal tempo.

Occorre specificare che quello di Joel non è stato un ritiro completo, in ambito musicale. Negli ultimi vent'anni ha svolto un’estensiva attività concertistica, corredata da qualche album dal vivo, tra i quali spicca il celebre: 2000 Years – The millennium concert live, ed inevitabilmente disseminata dai pestiferi Best of che ammorbano di deja-vu i repertori delle star, ma in genere qui sono le case discografiche che raschiano senza troppi scrupoli il fondo del barile. Joel s’è permesso persino una sinora isolata digressione in campo classico, con la pubblicazione datata 2001 di Fantasies and delusions, oltretutto molto apprezzata dalla critica.

Questo è, viceversa, discorso di contenuti, di ricerca. Si parla di un professionista, reduce da lunghi anni di successo e riconoscimenti, il quale, alla soglia dei quarantacinque anni, un età ridicolmente giovane per la carriera musicale, comprende d’essere giunto alla fine di un certo percorso, e piuttosto di ripubblicare sempre lo stesso prodotto con titoli differenti, ha l’onestà intellettuale di dire basta agli inediti. I più replicheranno che per una star ricca ed affermata non è poi una tragedia rinunciare agli introiti dei dischi e “limitarsi” a portare in giro il proprio repertorio. Ma per una star ricca ed affermata, a meno che con gli anni non sia diventato un cinico mercenario, non dev’essere semplice ammettere, e soprattutto rendere pubblico, il fatto di non sentire più nulla che valga la pena esprimere a livello artistico, al di là della minestre riscaldate di stili, suoni, messaggi infinitamente uguali a se stessi coi quali riempire dischi nuovi soltanto nominalmente. Ci vuole coraggio e coerenza, la reputazione si salva anche (soprattutto) così.

Buon compleanno allora, Mr. Joel, e perdoni la domanda imprudente. La festeggeremo ascoltando un pò del suo pop rock migliore, dopotutto in vent'anni di catalogo "essenziale" c'è solo l'imbarazzo della scelta. Consiglio dello chef: An innocent man, anno 1983, magari partendo dal gioioso canto a cappella di The longest time. Un compleanno in fondo dev'essere una cosa allegra.

Mercoledì, 21 Marzo 2012 17:32

Spettacoli dal vivo: forma o sostanza?

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Franco Battiato - ArcimboldiIl primo a lanciare l’allarme, più di trent’anni fa, era stato Franco Battiato, già vecchio saggio all’epoca: “E non è colpa mia/ se esistono spettacoli/ con fumi e raggi laser” (Up patriots to arms, 1980). Già da qualche anno in verità, era sorta l’usanza d’ incartare il “prodotto musica” in confezioni sgargianti, forse più attente alla forma che alla sostanza.

Palchi enormi, con scenografie futuriste, artisti e ballerini che svolazzano come al circo, gru come nei cantieri, tribune moventi, soffitti e pavimenti che s’innalzano ai cieli o sprofondano agli inferi, a seconda del tenore emotivo dello spettacolo in corso.. Naturalmente il fenomeno s’è espanso (è proprio il caso di dirlo) nel corso degli anni), non c’è rockstar che non si sia piegata, e non continui a farlo, alla logica dello show spaziale.

Malauguratamente, negli ultimi tempi s’è cominciato a pagare qualche conto doloroso. Le recenti vicende di Matteo Armellini, romano trentenne, e di Francesco Pinna, triestino ventenne, deceduti tra dicembre e marzo proprio durante le operazioni di montaggio dei palchi dei concerti di Jovanotti e la Pausini, hanno riproposto il problema della sicurezza. E al di là degli inevitabili tributi di solidarietà emessi dalle star coinvolte e dal loro entourage, forse qualcosa sta, finalmente, cominciando a cambiare a livello di mentalità. La buona notizia è che ci sono degli artisti che stanno progettando shows “moderati”.

I prossimi live di Ligabue e della Minogue, secondo i rumours degli addetti ai lavori, sostituiranno le parole d’ordine “eccesso” e "magnificenza” con “sobrietà e “sicurezza”; maggiori informazioni in tal senso dovrebbero essere a breve disponibili. Ma al di là dell'esempio pratico, è questa una mossa non solo opportuna, ma anche inappuntabile dal lato della resa tecnica. Perché in molti casi certi allestimenti scenici eccessivi, pacchiani, rumorosi, invece di risultare funzionali alle esibizioni, d’esserne l’attraente contorno, costituiscono semplice elemento di disturbo e distrazione. Senza contare che è anche ad esse che si deve il recente dilatarsi a dismisura dei prezzi degli spettacoli.

Non vorrei a questo punto far passare il messaggio che la buona musica debba per forza essere presentata all’insegna del minimalismo, alla penombra di tavolati spogli da cinque per quattro, tipo free-jazz da domenica sera, ma è anche vero, è ancora più vero, che non sono poche le mega produzioni che assegnano un’indebita certificazione di qualità a manifestazioni live spesso scadenti, come quelle di certe starlette d’oltre oceano o di alcuni prodotti (non tutti) degli spesso giustamente vituperati talent show.

Non c’è bisogno di giocare a star wars per proporre buoni spettacoli: basta essere in grado di produrre buona musica, anche se è un concetto indigeribile dal business odierno.

Lunedì, 05 Marzo 2012 16:17

Saluto a Lucio Dalla

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E invece e' bello chiuderli (gli occhi) di notte senza sapere se ti sveglierai… (Viaggi Organizzati 1984)

Lucio DallaIl mio ricordo di Lucio Dalla è legato ai miei primi concerti, agli anni dell’Università. Visto sempre con i suoi Stadio e poi il “gran tour” con Gianni Morandi.

Musicista di formazione jazz, autore dei testi delle sue canzoni, ha vissuto l’esperienza beat, la sperimentazione ritmica e musicale, ha scritto colonne sonore amando sempre la “canzone italiana d'autore”. Artista eccezionale ed eccentrico ha sorretto il mio interesse per la “buona musica italiana”. I primi accordi li ho suonati proprio sulle sue canzoni: Anna e Marco, Futura, 4 marzo, Piazza Grande non potevano mai mancare…

Con Lucio Dalla scompare una parte importante della colonna sonora della mia vita, scompare il mio “rito iniziatico” alla musica, ai live nei palazzetti, scompare un vero maestro nel comporre e nell’osservare in maniera disincantata l’irrimediabile scorre della vita.

Ora mi torna ossessivo quel motivo dell’ultimo tuo tour con Francesco De Gregori


Come la vita che passa o che l'abbiamo passata
così tanto per vivere senza farci del male
ma saper vivere non basta
e non basta saper cantare


Ciao Lucio

Oscar Valente

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