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Venerdì, 21 Dicembre 2012 12:55

Storia di musica n. 21 - Sting

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Pungiglione incantato

Sting // Storia di musica n. 21 di Cesare G. RomanaQuando il trepestio dei piedi, sulle predelle dei banchi, segnalò l'impazienza della scolaresca, il maestrino smise di declamare e ripose nel cassetto Lo Hobbitt di Tolkien. Poi da sotto la cattedra trasse il basso e collegò il cavo con la presa, erano tempi artigianali. «Proviamo Singin' in the rain», ordinò, e da sotto ogni banco scaturì uno strumento: un umile ottavino e la cavernosa maestà d'una tuba, silhouette serpentine di sax, la snellezza retrattile d'un trombone, un flicorno petulante e due chitarre dall'accordatura precaria. Sulla quarta B le finestre irradiavano un lucore invernale e sorella Ruth, la preside, reputò inutile affacciarsi per dire, col suo tono burbero: «Non discuto i suoi metodi, professor Sumner, ma riduca il rumore: disturba le altre classi». L'episodio tornò alla mente di Sting dodici anni dopo, era l'87 e su Rio de Janeiro pioveva un acquoso dicembre. L'auto portò lui e Trudie nel cuore della foresta, la facciata gotica emerse tra il verde e parve annunciare una chiesa cristiana, più che un tempio sincretista: era, in realtà, entrambe le cose. Entrarono. Lo striscione, sopra l'altare, prometteva luz, paz, amor, i fedeli vestivano tuniche verdi trapunte di stelle, un prete intonò una nenia. Nei boccali il liquido - melmoso, marrone - aveva un ingrato sentore di petrolio: bevvero, e il sapore era ributtante quanto l'odore.

 

Ayahuasca, chiamano gli sciamani quell'intruglio. Dapprima fu un incubo di sudori gelati, nausea, intestino in subbuglio. Poi un sibilo, come d'ultrasuoni, trafisse la mente, la coscienza si schiuse alla luce e la luce partorì architetture cangianti, fango di trincee e bellissime femmine, fragori d'annientamento e arpe di resurrezione. E il passato riemerse in un presente senza tempo: il vallo d'Adriano e le brume del Mare del Nord alte su Newcastle, le navi dei vichinghi, normanni, danesi, sassoni, scozzesi approdate nei secoli in quel lembo d'Inghilterra, la casa vittoriana dove Sting aveva vissuto un'infanzia fredda, con le coltri grevi d'umidità e il tepore volubile del caminetto. Fu così che l'uomo idolatrato e ricchissimo, a trentasei anni, rivisse la sua vita in centosessanta minuti, ne sciolse i nodi e divenne scrittore: da quel viaggio nella memoria nascendo Broken music, la bellissima autobiografia compilata negli anni sull'onda di quella notte visionaria, e ora pubblicata in Italia da Mondadori.

La casa di Newcastle guardava su un cantiere navale, di là dai balconi gli scheletri delle navi s'alzavano nella nebbia, brulicava sotto le gru la folla lillipuziana degli operai e il cielo non aveva altre tinte che il grigio del giorno e il nero notturno. Gordon crebbe qui con i molti fratelli e il rancore silente dei genitori: Ernest, lattaio, anglicano, innamorato del jazz, Audrey, parrucchiera, cattolica, amante del rock. E adultera, per romanticismo e per voglia di sole. Fu Gordon a scoprire, a otto anni, l'infedeltà di sua madre dagli ansiti che giungevano da uno sgabuzzino di casa, Ernest era in bottega e Alan, il garzone, non era con lui. Quando seppe, il marito tacque, com'era nella sua indole appartata di lupo, ma riparò nella sua stanza e pianse in silenzio. La tresca durò trent'anni: Ernest vide la moglie partire e la rimpianse, tornare e la riaccolse, ripartire e sembrò rassegnarsi. Ma quando Audrey morì, a cinquantatré anni, di cancro, lui si spense d'identico male, pochi mesi dopo, non avendo mai cessato d'amarla.

Gordon divenne adulto aiutando il padre nel suo negozio, sveglia ogni mattina alle cinque per caricare su Bessy, il loro furgone, le bottiglie di latte che ghiacciava dal freddo, e il gelo faceva saltare i tappi di stagnola. Distillò dai sogni l'antidoto al male di vivere, e al disamore domestico: di sera le case sventrate dalle bombe della Luftwasse, e mai ricostruite, diventavano castelli e le gru del cantiere sortivano, dalla nebbia, un'evanescenza fatata. Una vecchia chitarra lo sostenne nel suo calvario infantile: ascoltava per ore i Beatles, Dylan, il jazz di Miles Davis e imparava a riprodurre melodie e armonie. A scuola gli insegnarono che Dio è cattolico e l'inferno attende chi non s'iscrive ad almeno una Confraternita, lui serviva messa ogni domenica, avvolto nel rosso cardinalizio dei chierichetti, e confessava ogni sabato peccati mai commessi, non per fede ma per garantirsi, senza troppa fatica, l'eterna salvezza.

Alle superiori i preti sono aspri e vendicativi, ogni trasgressione è punita a nerbate ma l'unico laico, il professor McGough, insegna ad amare Shakespeare, Chaucer, Dante: e Gordon ne sarà lietamente segnato. Ma cresce il suo distacco dai genitori e dagli amici più stretti: Tommy, strillone, e Mick, bigliettaio alla stazione dei treni, che non sanno niente di Amleto e non conoscono una parola di latino. Gordon passa ore sulla spiaggia «abbandonato - ha letto in Neruda - come i moli all'alba»: scruta l'orizzonte tetro, cammina nella sabbia cinerea, scorda i diverbi di casa al fruscio della risacca e ai versi di Eliot. Una sera, al Go Go, va a sentire Jimi Hendrix: lo travolge quel delirio di note celesti e d'abissi inauditi, simile alle poesie di Bob Dylan ascoltate nelle notti di spleen.

Diplomatosi, Gordon fa il fattorino sugli autobus, lo scavatore, il manovale, l'impiegato all'erario. Conosce Megan, bionda, figlia d'un preside: ha il cereo incarnato d'un angelo e la sfrontatezza d'una maliarda. Per lei scrive le sue prime canzoni: «Ora che il mio amore fluisce in te/ se anche bevo alla tua fonte/ brucio per te». Per lei accetta di suonare il basso in un musical di Andrew Lloyd Webber, «Giuseppe o l'incredibile mantello dei sogni in technicolor», poi di formare il suo primo gruppo, i Last Exit. E intanto insegna alla St Paul First School, in un villaggio di minatori dimenticato da Dio. Agli alunni, più che la grammatica, legge libri di fiabe e insegna a suonare canzoni di Suzie Quatro o Gary Glitter, gli altri docenti si scandalizzano ma la preside, sorella Ruth, lo difende.

Lascia Megan quando la scopre tra le braccia d'un altro, e conosce Frances, che interpreta la Madonna in Rock nativity, musical evangelico dove è chiamato a suonare. Diciotto mesi dopo si sposano, un'amica offre loro un pavimento su cui dormire, Gordon, ribattezzato Sting, pungiglione, per la maglietta a righe che lo fa somigliare a un'ape, lascia la scuola e s'imbarca su una nave. Suona per i passeggeri tra Spagna, Sicilia, Grecia, impara a stare in equilibrio sul palco quando infuria la tempesta e la batteria scivola sulle assi, e quando torna a casa Frances è incinta. Scrive Sting, nel suo diario: «Mio figlio ha deciso di nascere in un mondo incompleto. Sere fa un un ragazzo è stato ucciso dagli skinhead: fanno a gara a chi sferra più calci, hanno paura d'ammazzare da soli. Eppure mio figlio ambisce a questo mondo, come un bozzolo che aspetta il suo momento».

Al battesimo ci sono anche Ernest e Audrey. Lei è senza l'amante, lui per una volta sorride. «Joe è il nostro totem tribale - scrive Sting - riceve e trasmette l'affetto che di solito ci è difficile esprimere o accettare». Ed è un talismano: un giorno Gordon viene invitato in una casa di Mayfair, c'è un lezzo dolce d'incenso e patchouli, accanto a un narghilè‚ un uomo barbuto suona il basso, una rossa assonnata dipana una nenia ed è Sonja Kristina, dei Curved Air. Altrove uno spilungone percuote una batteria ed è Stewart Copeland: nascono così i Police. Un chitarrista corso, Henri Padovani, completa il trio, poi verrà sostituito da Andy Summers, nelle cui dita suonano gli dèi del delirio e del rigore. Una sera, a Parigi, i tre dormono in una pensione vicino a Saint Lazare, nel vicolo vecchie e giovani battone hanno la stessa aria delusa, nell'atrio un manifesto annuncia un Cyrano de Bergerac in scena alla Comédie Française. C'è l'immagine d'un uomo che ride, il naso enorme e il cappello piumato. Ama Rossana come Ernest Sumner aveva amato Audrey, d'un amore senza illusioni. Sting sale in camera e scrive Roxanne, è il successo.

A Frances subentra Trudie, attrice, solare e romantica come era stata Audrey. Arrivano altri quattro figli. Li ho visti, in una primavera del '91, nella loro casa a West Highgate, al confine con Hampstead: tre piani, mura di mattoni, mobili rustici. Duecento anni prima Coleridge vi aveva scritto La ballata del vecchio marinaio, vent'anni prima vi aveva abitato Yehudi Menuhin, il leggendario violinista. Nel soggiorno un armadio del Quattrocento, grandi bilance a far da portafiori, stoviglie di rame e Trudie: col suo petto da nutrice e il sorriso che dagli occhi dilaga nei gesti. Bevemmo il cappuccino attorno a un tavolo antico, Sting arrivò sonnolento e scarmigliato, parlò di Gil Evans «che non ha mai rinunciato ad esser vivo», di Zucchero my friend, dell'Italia «così ricca di gente spontanea». D'una serenità che cominciava a raggiungere solo ora, a quarant'anni. Fuori della vetrata si stendeva il verde d'un prato, il sole l'accarezzava, benigno.

Letto 29814 volte Ultima modifica il Giovedì, 07 Febbraio 2013 09:08
Cesare G. Romana

Cesare G. Romana Genovese doc, amico intimo di Fabrizio De André e suo compagno di strada, è il decano dei giornalisti musicali italiani. Critico de “Il Giornale”, è autore di un fortunato libro su Gino Paoli, e, per Arcana, di Quanta strada nei miei sandali. In viaggio con Paolo Conte e Smisurate preghiere. Sulla cattiva strada con De André.

Ciao Cesare, vogliamo ricordarti così

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