Dal giorno del mio arrivo a Londra sono stato incuriosito dallo spazio pubblicitario concesso nelle stazioni della metropolitana a Loserville, una rappresentazione inedita firmata dal giovanissimo musicista inglese James Bourne e dal compositore Elliot Davis.
Passiamo rapidamente alla storia, che le locandine presentano come un mix tra Grease, Glee e The Big Bang Theory, tutti paragoni molto impegnativi. Siamo all'inizio degli anni '70, nel classico liceo anglosassone, tra bulli, pupe e nerd con la passione per Star Trek e per i primi personal computer. Tutto nasce proprio da qui, dal desiderio di un ragazzo di cambiare il mondo, e di trasformarsi da secchione imbranato a celebrità. Il suo progetto è ambizioso: permettere a due computer di comunicare tra loro, ossia inviare la prima email della storia. Sulla sua strada non mancheranno difficoltà, amori e amicizie adolescenziali non sempre facili da gestire.
Questa in parole povere la trama messa in scena nel piccolo teatro Garrick, a due passi da Leicester Square. La scenografia è minimalista ma ben studiata, fatta di cambi di scena rapidissimi e sagome di cartone che simulano un mondo che vuole essere semplice e leggero come la gioventù dei protagonisti e di un passato non ancora appesantito dalle angosce odierne, in cui il più grande sogno di una ragazza può essere ancora diventare la prima astronauta donna.
Sicuramente il dinamismo e la freschezza degli attori sono le note più liete di questo musical, che non ha niente a che vedere con rappresentazioni maestose come il pluricelebrato Wicked, in cui la complessità della vicenda è seconda solo alla ricchezza di effetti speciali, coreografia e scenografia. Anche i temi musicali sono tutto sommato essenziali e ripetitivi, seppur gradevoli. La storia si sviluppa in modo prevedibile e senza colpi di scena dall'inizio alla fine, raccontando l'avventura del protagonista principale, di aiutanti e antagonisti, concedendo a ognuno il proprio spazio canoro, senza grandi picchi emozionali, né virtuosismi vocali. Meritano una citazione We are not alone e soprattutto Ticket Outta Loserville, che compaiono sul finire del primo atto, e non a caso vengono ripresi più volte come temi conduttori anche nella seconda parte, quando, come da tradizione, le cose si complicano, tutto sembra compromettersi per l'eroe, ma alla fine la situazione si risolve, e tutti possono gioire felici e festeggiare l'avvento di un mondo migliore.
Nessuno si aspettava il pathos del Fantasma dell'Opera o la drammaticità dei Miserabili, ma il cast, comunque bravo e preparato (alcuni di loro da queste parti sono molto conosciuti per avere preso parte a serie tv o altre produzioni locali) poteva essere messo maggiormente alla prova da una scaletta povera di mordente, troppo lineare, priva di momenti di discontinuità. Presentarlo come una sorta di nuovo Grease è non solo eccessivo ma addirittura oltraggioso. Ciò di cui davvero si sente la mancanza è un crescendo musicale all'altezza che segua lo sviluppo narrativo, pensate ad esempio, per continuare nel parallelo, all'esplosione di You're the One That I Want. Qui non c'è niente di tutto ciò, purtroppo l'evoluzione sonora è prevedibile quanto la vicenda, e non c'è neanche un tema conclusivo inedito, bensì l'ennesima reprise di Ticket Outta Loserville.
In generale il prodotto non è noioso, è piacevole e spensierato, le due ore scorrono e non vi ritroverete spesso a guardare l'orologio, ma dubito che qualche brano passerà alla storia o che Loserville resterà in scena per anni. Se avete voglia di un momento di svago, lieve come una commedia americana una sera d'estate, allora mettetevi pure in coda, se, al contrario, cercate un nuovo classico, o volete vedere che cosa è in grado di offrire la produzione artistica del West End londinese, è meglio che frequentiate altre platee.