Concentriamoci quindi su quello che è successo in quell’ora e mezza. Si parte con It’s Good to Be Free, b-side di Whatever, ripescata dal lontano 1994. Una sfumatura revival per una serata che sarà necessariamente all’insegna della nuova avventura dei Noel Gallagher’s High Flying Birds e dell’album omonimo, primo da solista dopo la rottura con l’altra metà degli Oasis. La traccia iniziale Everybody’s on the Run è la numero tre in scaletta, e constato che il cd (o suoi derivati…) deve avere venduto parecchio, perché la maggior parte dei presenti conosce già a memoria i testi. A tal proposito esprimo solo un rapido giudizio sull’intera opera, che a differenza di quanto fatto da Liam con i Beady Eye in Different Gear, Still Speeding è un po’ più fedele alle vecchie sonorità, meno ispirato da influenze esterne e magari complessivamente più monotono, ma è più personale e ha un’identità meglio definita. Torniamo al concerto. Nove brani su venti sono tratti dal già citato album, purtroppo resta fuori l’interessante Stop the Clocks, peccato. Ci sono invece altre due produzioni post Oasis ma escluse dalla tracklist: Freaky Teeth e The Good Rebel.
Per soddisfare i nostalgici e i supporter di lungo corso viene proposta una versione acustica della classica Wonderwall, che l’ex ragazzo di Manchester prova ad aggiornare variando la linea vocale di alcuni versi. Il risultato è apprezzabile, ma in fondo lo sforzo è inutile, non c’è nessuno da convincere, il pezzo è già un tassello inamovibile della storia del pop. Supersonic è un altro balzo indietro nel tempo, e un regalo accolto con gioia dai presenti, che a un certo punto iniziano a inneggiare agli Oasis, circostanza che immagino non faccia piacere più di tanto a colui che ha deciso di interrompere da un giorno all’altro quell’avventura.
C’è chi indossa la maglia del Manchester City, squadra di cui i Gallagher sono tifosi, un gruppo nutrito lancia un coro pro Balotelli (improvvisamente diventato simpatico a tutti), e la risposta è la dedica di AKA… What a Life! proprio al giovane calciatore italiano emigrato in Inghilterra.
Noel gradisce meno la continua richiesta di The Masterplan, che resterà insoddisfatta, nonostante l’insistenza del pubblico che riceve in risposta una battuta: «Volete The Masterplan? Potete comprarla su iTunes, costa un euro…».
Dopo un’ora e un quarto c’è la consueta pausa che precede l’immancabile bis, l’atto conclusivo del concerto, che coincide anche con quello più intenso: Little By Little, The Importance of Being Idle, e poi un finto sondaggio per decidere con quale canzone congedare tutti. In realtà la scelta à già caduta su Don’t Look Back in Anger, preceduta dai ringraziamenti e dai saluti. Appena suonata l’ultima nota Noel e colleghi spariscono dietro le quinte, lasciando la folla un po’ perplessa, i più restii ad abbandonare la loro postazione restano immobili con gli occhi fissi sul palco per qualche minuto, invocando un ritorno in scena che non avverrà.
«Aò, ma so venuto da Roma pe’ un’ora e mezzo?» dice un ragazzo lasciando il locale, «ma anche gli Oasis facevano sempre così», lo rassicurano altri. Per quanto mi riguarda tutto sommato non mi dispiace che sia finito tutto, e non solo perché qualcuno ha appena deciso di lanciare una lattina di birra lavando il sottoscritto e non solo. La discografia degli Oasis permetterebbe di allestire show di alto livello, ma un po’ per pubblicizzare il recente disco, un po’ per non ricalcare il passato, il risultato di questa data milanese è un prodotto ripetitivo, poco coinvolgente, senza cambi di ritmo degni nota, la sensazione alla fine è quasi quella di avere ascoltato la stessa traccia per novanta minuti. A questo si potrebbe aggiungere la totale assenza di scenografia, fatta eccezione per qualche gioco di luce. Un’ultima nota la merita lo staff dell’Alcatraz di Milano, censurabile per la tolleranza nei confronti del divieto di fumo nei locali pubblici costantemente violato. Capisco che non sia semplice farsi largo tra centinaia di giovani accalcati ed esaltati, ma almeno ci si potrebbe provare.