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Domenica, 07 Ottobre 2012 14:19

Beatles, dieci lustri di Love me do

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Non solo nostalgia

Beatles - 50 anni di love me doOsservando, ascoltando, leggendo, insomma seguendo la cascata di celebrazioni per il cinquantenario (5 ottobre) dell’uscita del primo singolo dei Beatles, Love me do / P.S. I love you, (chissà perché di questo secondo brano non ha parlato nessuno, eppure è parte integrante del singolo in questione), m’è parso di cogliere un filo comune, vale a dire l’effetto nostalgia abbinato a un “come eravamo” un po’ patetico ma forse inevitabile in questi casi.

Quello che è passato un po’ in cavalleria e avrebbe invece meritato maggior rilievo è un dato di fatto inoppugnabile, ossia che è da questa data che la proposta musicale europea (leggi = anglosassone), intraprende un rivoluzionario processo di maturazione tecnico-stilistica. Rifiutandosi di eleggere a proprio singolo d’esordio una cover di sicura presa (nella fattispecie, la pur valida How do you do it di Mitch Murray), i quattro non solo troncavano uno standard assodato per i gruppi e solisti dell’epoca, ma affermavano fin da subito personalità e sicurezza nei propri mezzi, malgrado le perplessità di George Martin, non esattamente un inserviente qualsiasi all’interno della EMI. E nonostante i testi da baci perugina (Suvvia, stiamo parlando di ventenni in amore – avranno modo di passare a tematiche più profonde), l’armonica bluseggiante di Lennon e le impegnative armonie vocali sul refrain, specialmente al colmo dello stesso, costituirono solo i primi esempi d’un talento innovativo che avrebbe visto il proprio apice nel biennio ‘66-’67.

P.S.I love you non era da meno. Raccogliendo le argute indicazioni di Wikipedia: “Ci sono due eccezioni notevoli (nella canzone) rispetto al modello contemporaneo. Durante il coro di apertura, l’accordo DO#7 viene inserito in modo incongruo tra il SOL e il RE, e proprio sul ritornello, ecco comparire un’inusitata variazione in SI Bemolle”. Naturalmente erano queste delle peculiarità di cui il pubblico dei quattro, 90% adoranti ragazzine, non aveva grosse probabilità di rendersi conto, un po’ più grave il fatto che non se ne accorgesse la critica musicale, occupata com’era a denigrare il fenomeno. Insomma il primo quarantacinque giri dei Beatles svelava alle orecchie più fini che ci sarebbe stato d’aspettarsi qualcosa di più che quattro bellocci con la chitarra (anzi, tre bellocci con la chitarra e un bruttino con la batteria), buoni giusto a lanciar battute sarcastiche dal palco (John), a svolgere un affidabile e frustrante gregariato (Ringo e George) o a gettar languidi sguardi da pesce lesso nelle interviste (Paul). Ogni nuova canzone, ogni successo da classifica avrebbe fatto registrare in quest’ambito dei passi in avanti, più o meno evidenti. D’ altronde i Beatles passavano ore in studio (da un certo momento in poi, poterono facilmente permetterselo), curiosi di sperimentare, testare, studiare, osare. Esempi? A bizzeffe. Tanto per citarne qualcuno, solo e unicamente dell’epoca yeh-yeh: l’apertura col ritornello di She loves you o il crescendo all’inizio di EIght days a week, a livello stilistico; su un piano più squisitamente tecnico, come non citare l’ accordo di apertura di A hard day’s night, il cui impatto sarà paragonato solo al terrificante MI maggiore che chiude A day in the life, piuttosto che il groove straordinario di All my loving, che i quattro si permisero perfino di non pubblicare come singolo. A partire dal 1966 e con la fine delle esibizioni dal vivo, l’attività in studio assorbirà la band in maniera totalizzante, ma questa è già un’altra storia.

Non c’è niente di male, sottinteso, a celebrare con un fil d’emozione questo mezzo secolo trascorso dal primo vagito su vinile dei Beatles, (che per buona sorte non sono poi sopravvissuti a sé stessi, come han fatto, goffamente, altri gruppi più o meno contemporanei), il fatto è che nell’immaginario collettivo l’immagine del gruppo viene raramente (eufemismo) innalzata a simbolo di perfezione tecnica, che è poi la sua dimensione propria, a vantaggio della scontata, ingannevole, lacunosa e via specificando, icona di mito sorridente.

Letto 1762 volte Ultima modifica il Giovedì, 03 Gennaio 2013 13:30
Alfonso Gariboldi

Poesie, racconti, recensioni: la caleidoscopica  proposta di Alfonso Gariboldi per AMA music si traduce in una acuta retrospetiva che indaga vizi e virtù degli album che hanno fatto la storia della musica. Ogni sua recensione è arricchita da un collegamento storico, un aneddoto, una riflessione sagace che contribuisce a delineare lo stile irreprensibile e irriverente della rivista.

Per ulteriori informazioni circa l'attività letteraria di Alfonso rimandiamo al suo sito personale www.alfonsogariboldi.it

Sito web: www.alfonsogariboldi.it

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