Mi piace leggere così la 67° edizione del Festival del Film di Locarno, da un punto di vista del tutto personale sulla femminilità e i rapporti tra donne, saltando qua e là tra film vecchi e nuovi, e incontri che lasciano il segno: un’Agnès Varda da Pardo d’Onore, una Juliette Binoche che duetta in Sils Maria assieme ad un’inedita Kristen Stewart (tutt’altro che vampiresca), un’incredibile Ariana Rivoire; e ancora Le amiche di Antonioni e le amiche ritrovate, 15 anni dopo la deportazione e liberazione da Auschwitz, di A’ l vie; quindi indietro nel tempo, per sentirsi vicine al vagabondare tormentato della ventenne senza nome di Sans toit ni loi e poi ancora nella moderna Odissea d’Alice. Donne che cercano l’indipendenza a tutti i costi, con scelte estreme, conseguenze disastrose, decorsi fatali o vittorie personali.
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Grazie alla preziosa Retrospettiva Titanius, nelle sale cinema di Locarno si possono apprezzare, tra una prima e l’altra, pellicole che altrimenti faticheremmo a ripescare. Uscito nel 1955, Le Amiche di Michelangelo Antonioni, ci parla di dinamiche nel rapporto tra donne, lavoro e famiglia che a distanza di mezzo secolo sembrano più attuali che mai: una donna in carriera che sceglie l’indipendenza e non si guarda indietro nel momento in cui sente il richiamo di un amore in cui non vuole restare intrappolata. Di carriera lavorativa e indipendenza sentimentale si parla anche in Fidelio, l'Odyssée d'Alice, diretto dalla raggiante Lucie Borleteau. L’inversione delle parti, in una logica di genere, parte sin dalla professione della giovane Alice (Ariane Labed) secondo meccanico su una nave mercantile. L’odissea della ragazza nasce dalla sua incapacità di effettuare anche solo la minima rinuncia in onore di qualcosa che non sia la propria soddisfazione, lavorativa, goliardica e sessuale, e il bisogno innato e indomabile del vagabondare, con tutti i i conflitti che un a simile attitudine può instillare nell’animo femminile.
L’errare, questa volta senza meta, è il fulcro di un’altra storia completamente al femminile, quella di Sans toit ni loi (Agnès Varda, 1985), in cui l’indipendenza diventa bisogno estremo, l’unica legge, al di sopra della quale non esiste nulla, nemmeno lo spirito di sopravvivenza; il film, che si apre sulla scena del ritrovamento del cadavere della ventenne morta di freddo, è decisamente in contrasto col ricordo che ha lasciato la sua regista al pubblico di Locarno: brillante, entusiasta, ironica, a 86 suonati anni l'abbiamo vista ballare sul palco della Piazza Grande, poco prima di ricevere il Pardo d’Onore, muovendo davanti a sé una tuta leopardata.
Lo spirito di sopravvivenza, al contrario, è l’elemento fondante di A’ l vie, l’elemento che salva, unisce e ricongiunge Hélène (Julie Depardieu) e le due coprotagoniste del film di Jean-Jacques Zilbermann. Grazie alla particolarissima recitazione della Depardieu, innocente, quasi goffa, le grevi tematiche affrontate nella pellicola restano sullo sfondo, senza turbare più di tanto una rinascita che avviene grazie al legame tra le tre donne. E se si parla di legami tra donne, è impossibile non guardare con ammirazione al lavoro di Jean-Pierre Améri che affronta con Marie Heurtin una tematica altrettanto delicata, basata su una storia vera; la libertà questa volta è nella mentalità della giovane sorella Marguerite che permette alla quattordicenne cieca, sorda e muta affidata alle sue cure un percorso sensoriale che le sarebbe stato altrimenti precluso.
Ma probabilmente, parlando di rapporto tra donne, il più complesso, intricato ed ambiguo è quello che riguarda Juliette Binoche e Kristen Stewart in Sils Maria: la prima è un’attrice di mezza età, la star di Twilight è la sua assistente. Le due intavolano, attraverso dialoghi serratissimi che sembrano a tratti improvvisati, una riflessione sui rapporti umani e sul cinema stesso, una sorta di flusso di coscienza che emerge attraverso meccanismi nebulosi, del tutto simili, appunto, alle formazioni di nubi della valle svizzera da cui il film trae il suo titolo.
Si potrebbe continuare per ore, giorni, a viaggiare, riflettere e godere del lavoro svolto da registi, attori, giurie e organizzazione del Festival durante i 10 giorni di Locarno. Aspettiamo quindi che l'incantesimo si ripeta, la prossima estate, come da 67 anni a questa parte.