Buttata a mare in misura pressoché definitiva la strumentazione pomposa e barocca di metà anni settanta, quella composta da archi, violini e quant’altro, che appesantiva produzioni già mediocri di suo quali “Un po’ del nostro tempo migliore” o “Forse ancora poesia”, il gruppo italiano più nazional popolare della storia affronta la fine dei settanta virando decisamente sul rock.
A livello di testi, invece, si denota la crescente tendenza a discostarsi, almeno parzialmente, da tematiche prettamente personali per abbracciare il sociale. Il primo pezzo, “La città degli altri”, mette già interessanti carte in tavola. Si parla di pendolarismo, di grigiori quotidiani ed impersonalità di volti ed espressioni, noie esistenziali tratteggiate da chitarra e basso che graffiano all’unisono, ad accompagnare “la città di rabbia” che “scompare in fretta nella nebbia”. "Classe '58" critica invece la successivamente abolita (sempre troppo tardi) pratica della ferma militare obbligatoria, con la ben nota coralità dei quattro a rimarcare il peccato di "buttare un anno di vita abbracciato a un fucile di guardia a un cortile", e uno dei più fieri ed apprezzati assoli di Battaglia a chiudere. In "Quaderno di donna", Valerio Negrini rimanda al movimento femminista, che aveva avuto il suo apice proprio in quegli anni, e Facchinetti gli dipinge addosso una melodia trascinante ed articolata, sfruttando appieno la ben nota estensione vocale, in quella che è la canzone migliore di "Boomerang"-
Rimasugli del progressive, la cui epoca era peraltro stata soltanto superficialmente ("Parsifal") attraversata dalla band, si trovano ne "La leggenda di Mautoa", su testo di Stefano D'Orazio, e in "Il ragazzo del cielo", unico contributo al songwriting di Red Canzian, e sono tuttavia fior di rimasugli. Il mito dell'aborigeno australiano munito di boomerang e la vicenda di Lindbergh che parla alla luna sono delineati con aperture tenui e sommesse per poi svilupparsi in crescendi sontuosi, e fortunatamente prive di ridondanze orchestrali di qualsivoglia genere. Il rullo dei timpani e gli echi di Mellotron danno alla prima un senso d’epicità che la fa leggermente preferire alla seconda.
Il quarantacinque giri trainante del lavoro è la ruffiana "Cercami“, orecchiabile fino alla vergogna, che riposiziona il gruppo nell’ambito che comunque più gli è congegnale, ossia gli affari di cuore. Di questa categoria fanno parte anche l’elegante “Ci penserò domani”, cantata unicamente da Facchinetti ma musicata da Battaglia, che forse più dell’altra avrebbe meritato il lato A di un singolo. Ed anche il più dimenticabile episodio del disco, ossia l’inutile “Incredibilmente giù”, che riassume in quattro minuti scarsi le più criticabili e ataviche prerogative dei Pooh. Canzonette pop con testi post-adolescenziali, profondità zero ma lacrimetta sulla guancia il sabato sera. Per fortuna è l'unica traccia davvero scadente.
C’è spazio anche per la cronaca di una giornata lavorativa dei quattro, descritta in "Pronto, buongiorno è la sveglia", un'energica marcetta introdotta dagli accordi di quinta della chitarra rock di Battaglia. L'avvicinamento alla sede del concerto serale è descritto da D'Orazio con elasticità verbali che ricordano lo stile del collega addetto ai testi, lo storico autore Valerio Negrini.("Io questi qui li conosco, al casello ci chiedono un disco"). Poco da dire, infine, su "Air India", innocente e caramellosa cartolinea aerea dell'innamorato che vola in terra esotica.
Malgrado qualche pecca, "Boomerang" è un lavoro vivace e ritmato, che prosegue il nuovo discorso stilistico inagurato dalla dipartita del produttore Lucariello, nel 1976, e finora la scelta si dimostra vincente. Tale sarà la tendenza almeno fin verso la metà degli anni ottanta, quando i quattro esploreranno sonorità dalle tinte più elettroniche, con immutato successo di pubblico ed invariata freddezza di critica.