Emesso otto mesi prima di Let it be, ma registrato dopo quest'ultimo, tra il luglio ed il settembre '69, questo disco segnala la definitiva maturazione di George Harrison, i cui due brani sono universalmente reputati i migliori della sua produzione, nonchè spesso additati come il picco qualitativo dell'intero album. Melodicamente il "cucciolo" non aveva ormai più nulla da invidiare al maestro McCartney, e con Something gli verrà finalmente tributato l'onore di un lato A nei singoli della band, accompagnato da Come Together sul retro. Quest'ultima è forse la canzone più famosa dell'opera e puro Lennon: un rock ipnotizzante, cattivo, nella tradizione pesante di Dig a Pony o Yer Blues. Il concetto si dilata nella successiva I want you, estremamente elettrificata, così ossessivamente brutale nel suo riff scarno e potente; solo la personalità dell'ex baronetto poteva reggere un ambito tanto essenziale e privo di fronzoli. Un anticipazione di quella che sarà la sua irripetibile opera prima da solista.
Il lato A propone per il resto un McCartney ispirato nell'intensa Oh! Darling e la curiosa scenetta di Maxwell's Silver Hammer, storia di un allegro psicopatico (nemmeno l'unico rappresentato nell'opera) resa con la dovuta leggerezza stempera-tensione, nell'atmosfera retrò tanto amata dal bassista. Octopus's Garden vede i ragazzi tornare ventenni spensierati in mezzo al mar diretti da capitan Ringo nella sua allegra seconda prova compositiva.
Il vero capolavoro è in agguato all'inizio della facciata B e risponde al nome di Here Comes The Sun. I guai finanziari, le beghe interne al gruppo, il matrimonio traballante con la signora Boyd, il tutto macinato da una semplice acustica in casa Clapton (ironia della sorte...) ed ecco per George la meritata consacrazione. Il pezzo introduce il celeberrimo medley che perdurerà per l'intero lato. Because e Sun king sono il lato gentile di Lennon, quello etereo e sognante e drammaticamente lontano da una pesante banalità, come dimostrano ad esempio i maestosi cori intrecciati a tre voci. Questi pezzi sono intervallati dalla maccartiana You Never Give Me Your Money, robusta suite a tre parti gonfia di riferimenti alla situazione economica della "Apple" che rilancia un Paul finora certo piuttosto defilato.
Ancora due brani di Lennon, che sono altrettanti ritratti di personaggi quantomeno strampalati, certamente inquietanti: l'urbana Mean Mr. Mustard e la velocissima Polytheme Pam, genuino r'nr' dei bei tempi che furono, il cui solo strumentale introduce la migliore manifestazione di Macca nell'opera, cioè She Came In Through The Bathroom Window, che vede il ragazzo esibirsi in un altro brano rock di sicura presa, accattivante e di classe quanto basta per salvarsi dal ritrito; la stessa classe che lo porta a sfornare di seguito il lento incedere di Golden Slumbers, inno melodico di notevole spessore che avrebbe meritato più popolarità di quella in seguito ottenuta. Sfocia nella corale Carry That Weight e nella potente The end, la quale si sviluppa in un grintoso crescendo strumentale di matrice quasi hard'n'heavy ad ennesima dimostrazione che Abbey Road è certamente l'opera più brillante e matura che sia scaturita dall'inarrivabile produzione dei quattro. Il finale è Paul, che filosofeggia: "Alla fine, l'amore che prendi è uguale all'amore che dai", forse un tentativo di razionalizzare l'imminente fine della band.
I Beatles avevano probabilmente ancora bisogno di se stessi, lo dimostreranno le non felici prime opere soliste di Paul, la progressiva discesa nell'anonimato di Ringo, la lunga crisi artistica di John dal '75, le alterne fortune di George. Ma tant'è.