Ci sono alcune doti che io amo particolarmente nei musicisti (non solo di jazz) e direi: il senso della posizione in seno al gruppo, la duttilità, la capacità di porsi al servizio della band e del concerto posponendo il proprio ego (cioè la difficilissima arte dell’accompagnamento), la visione d’insieme, la capacità di non strafare e di essere sempre sul punto, l’ironia e l’autoironia ed infine apprezzo il fatto che i brani ed i musicisti vengano presentati in un certo modo con poche ma mirate parole, quindi non un diluvio verbale, come un comizio, ma neanche il minimo sindacale, solo titolo ed autore (altra difficilissima arte, quella della presentazione).
A volte, assistendo a certi concerti, ho l’idea di trovarmi davanti alla perfezione, sebbene sia opinione comune che tale stato non appartenga a questo mondo. Così andavo ragionando la sera del 18 Dicembre u.s., circa le doti rare dispiegate dai musicisti nel locale e tante altre virtù e felici risultati che hanno fatto di quel concerto un evento memorabile.
www.jazzascona.ch
Continuando il mio viaggio in quella multiforme e variegata sarabanda del Festival di Ascona (Jazzascona 2012), ho trovato conferme e novità, senatori ed emergenti, vecchie garanzie e nomi finora sconosciuti, da tenere sott’occhio, buoni da ascoltare di nuovo, alla prima occasione.
Va da sé che ciò che descrivo è solo una parte di un ben più ampio scenario: con molti concerti ogni giorno in contemporanea, nessuno è in grado di vedere tutto il festival, e ognuno ha un suo festival da ricordare. Dovrò glissare quindi su una pletora di concerti magnifici e/o importanti, dalle Sorelle Martinetti/Orchestra Maniscalchi a Nina Attal, da Till Bronner ad Irma Thomas e tanti altri ancora: bisogna fare delle scelte. Definitivamente ottimo il quintetto dal nome programmatico Old Fashioned della pianista-cantante Silvia Manco, con una delle mie sezioni ritmiche italiane preferite (Giorgio Rosciglione al contrabbasso e Gegè Munari alla batteria) e con un giovane trombonista – se non erro boliviano - Humberto Amesquita ed una vecchia conoscenza degli strumenti ad ancia (qui al sax tenore e clarinetto), Luca Velotti, - anzi, come lo presenta il suo datore di lavoro Paolo Conte, "Sir Luca Velotti". Grande swing e divertimento a piene mani, sia che fossero stra-classici (It don’t mean a thing, Speak low) o pezzi meno conosciuti (Substitute di Jelly Roll Morton o No moon at all).
Sorpresa dell’anno, ricordo che il sottotitolo del festival era Sophisticated lady/La città delle donne, la bravissima trombettista e cantante canadese Bria Skomberg, vista in azione con un gruppo di vecchi frequentatori di Jazzascona (Paolo Alderighi al piano, Nicki Parrott al contrabbasso e alla voce, Warren Vachè (nientemeno!) alla cornetta ed un batterista straordinario Guillaume Nouaux) alle prese con un repertorio sufficientemente variegato e accattivante, da cose più prevedibili (la versione di Fever a cura della Parrott) ad altre più filologiche (lo strumentale Trio di Erroll Garner, Alderighi naturalmente sugli scudi – non mi stupisce, conoscendolo, e so benissimo che il giovane pianista milanese è uno dei nostri jazzisti da esportazione più richiesti , un set davvero eccitante!
Già presente l’anno scorso, il trombettista Jon Faddis (uno dei personaggi centrali del jazz planetario) si è esibito con la Stanford University Jazz Orchestra (un’orchestra di giovani) diretta dal trombettista Frederick Berry: detto che Faddis è davvero notevole in quello che è il punto debole o spina nel fianco di tutti i trombettisti – il registro acuto ed i sovracuti – ed ha improvvisato e svolto temi da par suo, bisogna ammirare il lavoro dell’orchestra, in cui si sono distinti alcuni elementi come la baritonista Sophie Miller ed il trombettista Graham Davis (un destino nel cognome!). Complimenti a tutti, in primis a Berry che ha orchestrato e diretto con sensibilità ed intelligenza, producendosi anch’egli come trombettista (di rango) in Manteca. Una segnalazione per la bravissima cantante Emma Pask, alle prese con un repertorio classico ed accompagnata da The Australians, di cui avevo già scritto da queste colonne: ha swing e personalità.
Altra grandissima amica del festival, Lillian Bouttè, cantante neworleansina di stanza in germania, un nome una garanzia, con una band precisa per lei (Gumbo Zaire) ed un ospite di riguardo, il tenorista Pee Wee Ellis, che forse molti di voi ricorderanno alla corte di James Brown o con Maceo Parker. Ho potuto vivere grandi momenti come la A-tisket a-tasket, con duetto tra voce e sax od un calypso strumentale tutto a cura di Ellis con grande spazio per il coro del pubblico: mi aspettavo St Thomas da un momento all’altro, invece ecco Caravan, poi tema iniziale e fine brano. Un buon gruppo, ottimi i momenti di interplay tra i due giganti. Ancora musica nella notte – ne dubitavate? – con la jam session all’Hotel Tamaro, con tanti giovani e bravissimi musicisti e musiciste (le Lady 4et di Rhoda Scott), in compagnia di maestri e vecchie volpi come il pianista/cantante David Paquette, il violinista/cantante George Washingmachine, Alderighi e lo stesso Ellis….chi non ha mai visto una di queste sedute ha davvero perso qualcosa di straordinario!!
Congedo e uscita in stile dal festival il 2 Luglio a Cannobio (VB) Italia , sotto un cielo minaccioso, che fortunatamente ci ha graziato da un ingiusto temporale ed acquazzone.
Così, nel meraviglioso scenario della piazza dell’imbarcadero (ed in uno slargo del lungolago, poco distante), con tanto di luna piena che spandeva i suoi raggi sul lago, si sono esibiti tre gruppi: apre le danze la Regeneration Brass Band, con tanto di ballerina-coreografa. Ci regalano alcuni brani, fra cui When you’re smiling, Mardì gras in New Orleans e sull’in-cipit di Dinah prendono a muovere verso l’altra parte di Cannobio.
Prende il palco il quartetto del cantante pianista Larry Franco, che, completato da Anna Korbinska al sax alto, Antonella Mazza al contrabbasso ed Enzo Lanza alla batteria, si produce in una serie di brani dal progetto del 2006 dal nome import/export, cioè standards dal songbook americano uniti in medley (per affinità strutturali) a brani della tradizione swing italiana.Un esempio potrebbe essere costituito dalle celeberrime Besame mucho ed Estate. Molto divertente e tutti davvero notevoli. All’intervallo mi godo un po’ del fantastico gruppo di choro (musica brasiliana primigenia) Creole Clarinets E Trio Perigoso, frutto di una ricerca e collaborazione tra il clarinettista/sassofonista Thomas L’Etienne (altro protagonista di molte scorse edizioni) ed un collega sassofonista tedesco Uli Wunner ed il giovane trio brasiliano (pandeiro, cavaquino e chitarra classica 7 corde): davvero ottimo. Quasi in chiusura, ancora sul palco vicino all’imbarcadero, jam session finale, al quartetto di Franco si unisce tutta la Regeneration (When the saints) ed infine anche L’Etienne (Basin Street Blues), difficile immaginare un finale migliore! Mi piace vedere che anche due comuni italiani (Stresa e Cannobio) hanno contribuito alla festa. Arrivederci al 2013.
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JAZZASCONALuogo: Stresa
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Molti ancora non sanno che il popolare festival Jazzascona (un tempo Ascona/New Orleans jazz festival), da almeno tre edizioni ha un prologo in Italia, in quel di Stresa, e – dalla scorsa edizione - un epilogo, sempre italiano, a Cannobio e ciò grazie alla collaborazione tra il direttore artistico Nicolas Gilliet e le rispettive amministrazioni comunali e la Provincia del VCO.
Quest’anno il festival ha per sottotitolo Sophisticated lady, nel segno di un festival al femminile, proponendo non solo donne cantanti, ma anche strumentiste.
Lasciata al suo destino, per motivi tattici, la “vecchia conoscenza” della Regeneration Brass Band di New Orleans, mi sono concentrato su tre (dei quattro) gruppi per me “nuovi”: la Regeneration, vista e sentita dal 2010 ed anche nel 2011 numerose volte in Ascona [come si fa a perdere una marchin’ band (gruppo di strumenti-ottoni e percussioni che suona e marcia per la strada), che tutti i giorni, più volte al giorno, è una colonna sonora ambulante per le strade ed i vicoli di Ascona, se si è “residenti” per la manifestazione?], pur validissima e molto divertente verrà di nuovo a sonorizzare le mie giornate asconesi. Questo sostanzialmente è quanto rilevo dalla mia serata di mercoledì 20 giugno a Stresa, appunto, per l’apertura del festival.
Partenza con un personaggio alla sua prima apparizione in Europa, fresca e carina, la pianista-cantante Champian Fulton, con un suo trio che vede Mathias Allamanne al contrabbasso e ospite speciale Fukushi Tainaka alla batteria. Secondo Gilliet questa giovane potrà essere una nuova Diana Krall....ma, molto più vicino a noi, in tema di pianiste/cantanti, io continuo ad amare quella Laura Fedele, che pure di festivals di Ascona ne ha fatti almeno due, e proprio qui a Stresa si era esibita con grande successo due anni orsono. La Krall lasciamola ai pivelli ed ai neofiti.
La Fulton dimostra una qual certa classe e su classici come Exactly like you, Pennies From Heaven - il primo brano che cantò in pubblico ancora bambina - o Lover Come Back To Me si muove a proprio agio: è una brava cantante, ma nel ruolo di pianista mi piace a tratti, ho apprezzato il suo solo in un brano di Cole Porter dal titolo It’s allright with me. Senza grande personalità, anche se funzionale all’organico ed ai brani, il bassista Allamanne, a differenza del batterista Tainaka, che ha carattere e si sente. Dato comunque il ruolo di apri-pista nella sua prima data italiana, il caldo umido e le zanzare che accorrono da ogni dove nella piazzetta, l’insieme è buono ed in sintesi la Fulton va tenuta d’occhio e d’orecchio…. sa regalare con facilità buone emozioni ed è una frontwoman spigliata e brillante.
Secondo gruppo della serata il quartetto (piano,sax tenore, basso e batteria) del contrabbassista/cantante Mark Brooks da New Orleans, alle prese con un repertorio variegato, ma di sicuro impatto e spessore musicale: a questo gruppo è toccato l’onere e l’onore di accompagnare le New Orleans ladies, cioè due cantanti donne, la stupenda e coinvolgente Anais St John (vedi foto) e la più matura, straordinaria Germaine Bazzle. La prima è davvero intrigante e come show-girl è scesa dal palco invitando la platea a partecipare attivamente allo spettacolo; la seconda ha dimostrato notevole espressività, arrivando a prodursi in un solo di voce ad imitazione di un trombone con sordina nella classica ellingtoniana Don’t get around much anymore.
Il quartetto ha fornito numerose prove di valore, su tutte una incendiaria versione del classico calypso St Thomas – pubblico entusiasta...
Infine quella che secondo me è stata la vera epifania della serata, il valore aggiunto ad un’apertura di festival comunque ricca di emozioni e qualità: The Australians. Costituita da elementi centrali della scena musicale australiana, ecco una swing band che ha davvero tutto per divertire un’ampia gamma di ascoltatori, dai vecchi jazzofili agli assoluti principianti; un settetto compatto e coeso, servito nelle presentazioni dallo humor del batterista Anthony Howe, con un trombonista/arrangiatore/cantante, Dan Barnett, e una figura di culto cioè il trombettista Bob Henderson, ma nessuno ha demeritato.
Prendono il palco e dopo le presentazioni di rito (rappresentante Città di Stresa e Gilliet) partono con una determinazione ed una solidità impressionanti; i brani si susseguono in un alveo stilistico di swing classico, frammisto ad episodi di jazz arcaico (Bill Russell rag, Riverboat shuffle, Shangai shuffle), tutti i membri del gruppo sono sempre sul pezzo e ci regalano gemme come una Mood Indigo vocale, dai fiati morbidissimi ed una rumba, Buena Vista, (sì, proprio da Buena Vista social club) il cui piano solo sostenuto da una lunghissima rullata di batteria crescente alla fine è da incorniciare...deliziosi, giù il cappello. Certe volte non è tanto importante COSA suonano, ma COME suonano ed in questo caso è stato così. Altre perle ci sarebbero da raccontare, come la Melancholy lullabie con chitarra in primo piano, ma voi segnatevi questo nome – The Australians – ed organizzatevi per raggiungere Ascona, - trovate tutte le info sul sito ufficiale www.jazzascona.ch - se il buongiorno si vede dal mattino, il divertimento e la qualità musicale sono assicurati.
Stacey Kent - voce
Jim Tomlinson - sax
Graham Harvey – piano
Jeremy Brown – contrabbasso
Matt Skelton – batteria
Col suo carico di gloria, di grammies e di premi Stacey Kent, il personaggio del momento, la prima donna della vocalità jazz, sbarca ad Ascona, tra un concerto all’Olympia di Parigi ed una data al Byrdland di New York.
Costituisce ottimo risultato per il Jazz Cat essersi aggiudicato un tanto prestigioso nome: va detto come in poco più di tre anni di vita ed attività questo club è riuscito ad inserirsi nella ristretta cerchia dei grandi clubs europei , un fatto importante. Alle 20.40, dopo una breve presentazione congiunta da parte di Nicolas Gilliet (direttore artistico del Jazz Cat Club) e Paolo Keller (RSI rete 2/coproduttore della data), il quartetto prende il palco, uno dopo l’altro, (Matt Skelton alla batteria/NdR batterista mancino, Jeremy Brown al contrabbasso, Graham Harvey al piano, Jim Tomlinson ai sax – tenore e soprano) chiamati da Keller, infine la Kent ,ovviamente ultima ad essere chiamata e ad affacciarsi .
Partenza con un brano a tempo medio, con solo al tenore da parte di Tomlinson, seguito subito da una lentissima versione del classico di George & Ira Gerswin They can’t take that away from me; le cantanti indulgono spesso in ballads e brani lenti in genere, questo permette loro di far uscire al meglio le proprie qualità interpretative – il guaio è quando ne abusano…
Passaggio obbligato ad un brano di Jobim, in originale Aguas de marco - ne ricordo una bella versione di Ivano Fossati - che, nell’adattamento francese diventa Les eaux de mars, dal cd Raconte-moi. Tomlinson passa al sax soprano.
Si noti che la bella Stacey canta tutti i brani a memoria e nello stesso modo conosce la scaletta.
E’ il momento di parlare e di presentare, la nostra parla in modo velocissimo del tour mondiale che sta compiendo per presentare l’ultimo cd (live) Dreamer in concert e di come, dal suo punto di vista, le cose stiano andando a meraviglia I’m having the time of my life...; una figura sorridente, sobria, per niente diva, nella sue parole non c’è autocompiacimento o affettazione; poi (ri) presenta la band (con particolare attenzione per Tomlinson, che, oltre che sassofonista, è autore delle musiche di molti brani, produttore, arrangiatore, bandleader e ….. suo marito), non avendo sentito, da dietro il palco, la presentazione iniziale.
E’ la volta di un altro brano da Raconte-moi, cioè Mi amor, una rumba evocativa del clima fine anni ’50, con un’atmosfera da night-club, che personalmente adoro…..il concerto levita, io mi godo il clima, o meglio, il mood.
Il quartetto la serve splendidamente, sembra un vestito fatto su misura da un sarto, lei muove le spalle a tempo, canta e sorride, sospinta dalla musica e da una sua naturale grazia.
Ha un timbro vocale sottile, serico, molto duttile e sicuramente di grande fascino; può ricordare vagamente - fra le cantanti bianche - Astrud Gilberto; non fa uso di improvvisazione scat , ma si aiuta un po’, in certi brani, con la chitarra e col fischio. Una figurina luminosa, divertita e divertente, assolutamente protagonista, ma con un senso della misura che la rende deliziosa.
Il brano finisce e la nostra parla un po’in americano, poi in italiano, scherza col pubblico, sorride ancora ed io inizio a pensare questa donna ha qualcosa di speciale, ma non capisco cosa…; il tutto davanti ad una platea stranamente fredda, finora, dopo gli assolo, zero applausi: il pubblico – si sà - è la parte più imprevedibile di un concerto….. Ancora un paio di brani e ci avviciniamo alla fine del primo set: la Kent si siede ed imbraccia una chitarra classica; breve intro di contrabbasso solo da parte di Brown, intro che risolve nel tema (sempre Jobim) di How insensitive, ancora contrabbasso solo. L’ingresso degli altri musicisti - quintetto se consideriamo la nostra impegnata anche alla chitarra - ci racconta di un gruppo dal grande interplay e dai bei colori. Prima della chiusura del set, col brano Dreamer, la Kent parla del suo amore per la bossa e dell’importanza per lei della scoperta di Jobim e del disco Getz/Gilberto. Inizio secondo set, coerente col primo, la cantante continua a suonare la chitarra, ancora Jobim con Corcovado - forse troppo simile a quella contenuta nel classico LP Getz au go go; seguono un brano di Serge Gainsbourg, dal bell’inizio (voce, basso e rullante) , un originale, una I’ve grown accustomed to HIS face (versione al femminile) ed è la volta del gruppo senza di lei….
Tomlinson prende la parola e presenta lo standard Broadway, già nel repertorio di Count Basie, il quartetto si disimpegna con ottimo swing e sicuro interplay e dopo il solo di sax tenore, arriva un meritato applauso! Stessa sorte viene riservata al solo di piano. Solo di batteria e tema finale. Gruppo coeso ed equilibrato, dalle stupende dinamiche, con una serie di invenzioni e camei gustosissimi, soprattutto nel lavoro con lei. Sugli scudi Tomlinson, con buona inventiva nel fraseggio.
Altri due brani, fra cui una bella versione della bossa So nice di Marcos Valle, con cui lei racconta di aver collaborato ed il piacere avuto dal rapporto di lavoro. Qui Tomlinson passa alla chitarra. Questo segnerebbe la fine del concerto, a parte un breve bis, la chapliniana Smile ed i saluti affettuosi della Kent….Forse con un pubblico un po’ più generoso d’applausi, avremmo avuto un altro bis, o più bis, ma tant’è, non sono mancate quantità e qualità. Ho continuato a domandarmi cosa avesse la donna di così speciale e finalmente dopo lunga riflessione, ecco la risposta; la Kent ha una virtù rara: l’eutrapelia. Non sentitevi ignoranti, è un termine rarissimo, potrei sinteticamente definirlo come la capacità di mettere di buon umore, di far sorridere colui che ti sta davanti – per una donna di palco, per una frontwoman, ovviamente, è una manna.
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