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SENZA MUSICA LA VITA SAREBBE UN ERRORE Friedrich Nietzsche

Venerdì Dicembre 08, 2023
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Claudio Trezzani

Claudio Trezzani

Giovedì, 18 Luglio 2013 14:28

Lulu // Lou Reed & Metallica

Scrivere questa recensione per me era doveroso essendo fan di lungo corso dei Four Horsemen, con la premessa altrettanto doverosa che non si tratta del loro nuovo disco nè del nuovo disco di Lou Reed ma un progetto a sè stante.

 

Detto questo partiamo con lo specificare l’unico vero difetto di questo lavoro: troppo lungo. In alcuni episodi soprattutto lo si nota, fosse stato meno degli 87 minuti che è, sarebbe stata ancora più vicino al capolavoro assoluto.

 

Nonostante queste collaborazioni di solito abbiano un solo denominatore comune e cioè il denaro, questa unione fra due nomi ormai mitici della musica rock mondiale non ce l’ha. Non è commerciale, non è facile da ascoltare anzi scontenterà i fan più fedeli dell’uno e dell’altro e non poteva essere altrimenti visto che è ispirato ad un’opera teatrale (anzi due) degli inizi del ‘900 di un visionario pre-impressionista (Fred Wedekind).

 

La storia su cui è basato tutto il disco è quella di una ragazzina stuprata e schiavizzata dal suo primo protettore che, divenuta adulta, si vendica diventando prostituta d’alto bordo, sfruttando a sua volta i potenti, sino a cadere in disgrazia, arrivando a battere il marciapiede per sopravvivere, finendo uccisa a coltellate da Jack lo Squartatore. Capirete che un lavoro del genere non può diventare un disco da classifica, la follia artistica di Lou Reed (non nuovo a lavori spiazzanti) unita a quella dei Metallica (mai uguali a se stessi in 30 anni di carriera) genera un mix esplosivo pieno di episodi trash metal, rock classico, industrial, ambient e doom. Arte signori non noccioline.

 

Se cercate qualcosa di orecchiabile forse solo in 3 episodi potete avere ciò che cercate (non nel testo ovviamente, pregno di sesso violenza e disperazione). Si parte con Brandenburg Gate e si inizia spiazzando un pò l’ascoltatore con un intro acustico che però lascia subito il posto alla voce di Lou che per tutto il disco sarà una voce narrante, una litania fuori dagli schemi piuttosto che un cantato classico. La canzone prosegue con un mid-tempo alla Load con i chorus di Hetfield a fare da contorno (come in tutti gli 87 minuti). Il singolo The View è un mix fra un testo affilato e crudo e dei riff dapprima lenti e opprimenti che sfociano in un veloce Slayer-style, condito dalla voce narrante di Reed, una litania che ben si adatta a tutto il brano.

 

I due brani seguenti Pumping Blood e Mistress Dead, sono due pugni nello stomaco veri e propri. Ci troviamo dei testi deliranti e drammatici cantati in maniera quasi insopportabile, speed metal e noise, doom...i due episodi forse piu difficili da asssimilare ma per questo forse che più rendono l’idea di cosa sia Lulu: un mix di teatro, dramma e musica. Ambizioso. La seguente Iced Honey è forse l’unica vera canzone che ricorda il rock alla Sweet Jane di Reed e secondo me sarà il prossimo singolo. Ad ascoltarla sembra una b-side anni ’70, molto riusciti anche i chorus di Hetfield che ben si integrano col cantato di Lou Reed. Bella. Cheat on me probabilmente è la più sperimentale del disco ed è anche la meno riuscita, un lungo avanzare di ambient, archi, batteria soft: cresce nel finale ma non convince.

 

E’ la volta di Frustration, forse una delle due canzoni gemma dell’intero lavoro. Lunga lunghissima (8 minuti abbondanti): noise e poi i Metallica con dei taglienti riff da metal anni ’70, che si alterneranno in tutta la song. Intricato difficile da seguire, prima noise poi ancora riff, Reed che recita...non è una canzone da mainstream certo ma è esaltante pensare che artisti così famosi e rispettati decidano di non dare retta a nessuno di esprimere senza filtri ciò che sentono. Le seguenti Little Dog e Dragon saranno il preludio intricatissimo (davvero difficile da assimilare dopo vari ascolti) della canzone finale che a mio giudizio sarà il capolavoro dell’intero lavoro e cioè Junior Dad.

Mercoledì, 03 Aprile 2013 13:16

Vivere o Niente // Vasco Rossi

Chi vi scrive è un fan di Vasco Rossi; ma non dell’ultimo Vasco, quello dei mille greatest hits , dei jingle pubblicitari e delle canzoni tamarre finto-rock o elettroniche degli ultimi due lavori. Sono cresciuto con Vado al Massimo, Vado a gonfie vele e ritrovarmi questi versi mitici a sorpresa in quella che è forse la sua migliore canzone dal 1993 capirete che mi provoca brividi ed emozioni molto molto forti.



Partiamo col dire che dopo una pausa “commerciale” di almeno 15 anni, il Blasco nazionale è tornato con un lavoro pieno di rock, di chitarre (il lavoro di Stef Burns in particolare è da urlo), di ironia, di melodie semplici come solo lui sa o sapeva fare.
Vasco è da sempre così: o si ama o si odia, non ci sono mezzi termini. Però è innegabile che nel povero panorama italiano dominato da cosiddetti artisti “creati” dalla tv è sempre lui l’unico vero cantautore che trascina col suo rock ironico e diretto, ma mai banale, con canzoni d’amore mai patetiche o melense, con citazioni filosofiche mai troppo serie, con lezioni di vita e aforismi che da sempre segnano i suoi lavori.



Già dalle prime note della prima canzone, Vivere non è facile, il buon Blasco ritorna dopo 15 anni alla grande una canzone che inizia lenta, con la sua voce roca sempre unica e con versi che ti toccano subito: ”io sono qui e vivo come pare a me”, ”non mi so difendere da me”, per poi salire e incalzare subito con un bel rock orecchiabile, ma è la fusione di parole e musica che da sempre marchiano a fuoco la sua musica. E anche questo pezzo. Ma è dalla seconda traccia che si capisce la differenza con gli altri. Il Manifesto Futurista della Nuova Umanità è Vasco al 101%: un rock che trascina da subito, da urlare e cantare dal vivo, un groove che non esce dalla testa con un testo ironico e ispirato come un pezzo degli anni 80. ”Ti prego perdonami se non ho più la fede in te / ti faccio presente che è stato difficile abituarsi ad una vita sola e senza di te” è quasi chiudere un cerchio iniziato con Portatemi Dio e la voce con cui la canta vale da sola l’ascolto del pezzo. Bellissima.



Starò meglio di così, il pezzo seguente, forse è l’unico anello debole dell’intero cd; dico forse perchè contiene anch’esso spunti notevoli, scie country-blues molto interessanti, ma forse il testo non è così ispirato come il resto dell’album.


Menomale che la canzone che segue è la prima sorpresa positiva del disco: Prendi la strada è una canzone sottovalutata nei primissimi ascolti, ma che poi ti prende sempre più con un ritmo leggero e allegro, ma con un testo blaschiano “e quando arriverà la domenica e sarà sempre colpa tua / avrai almeno la soddisfazione di dire che sei stato il peggiore” e citazioni impegnate “non aspettare Godot / la vita è tua”. Tutto perfetto, anche il bridge di piano che non esce più dalla testa.



Qualcosa degli ultimi due album riaffiora con la seguente Dici che, intro elettronico, rock che cresce sempre di più e testo d’amore non banale come solo lui sa scrivere. Non un capolavoro ma un bel pezzo e bellissime parole: ma l'amore così non è un progetto non è mai come vuoi tu / e l'amore così è maledetto non sai mai se durerà ”.



Il primo singolo del disco, la nota Eh già, non uscirà più dalle nostre teste. Non un pezzo da 10 e lode, intendiamoci, ma un capolavoro di ironia e leggerezza che è una piccola lezione ai suoi detrattori che non perdono occasione per attaccarlo:sembrava la fine del mondo / ma sono ancora qua / ci vuole abilità e ha detto tutto.
Dopo una canzone così non poteva che esplodere un rock ‘n’ roll che suonerà alla grande in quel di San Siro. Sei Pazza di me sembra proseguire idealmente nella musica e nel testo il discorso iniziato con Cosa vuoi da me, descrive l’uomo ideale per una donna a letto, ideale appunto e non realizzabile. Meditate donne, un po' maschilista se vogliamo ma ci sta; da urlare e cantare dal vivo.



E poi? e poi arrivano le due gemme del disco, gemme nel vero senso della parola, due capolavori che rimarranno nella storia delle sue grandi canzoni come non si sentiva da Gli Angeli e Sally.


La prima è la title track, che inizia sussurata con un arpeggio pulito ”brividi sento quando guardo i lividi” non so come ci riesce, ma non puoi non sentirli pensando ai lividi che la vita ti lascia. E' così, non si può negare, ma poi esplode la rabbia con un urlo Vaschiano al 101% ”io non voglio fare finta che / che vada tutto bene perchè “è” / guardami, io sono qui e te le voglio urlare / IO STO MALE” un urlo liberatorio senza ipocrisie inutili: nella vita non va tutto bene e lui te lo fa urlare al mondo. Capolavoro. Il Blasco è qui, o vivi o ti arrendi, Vivere o niente.


Segue il vero capolavoro del disco, un brano che è la canzone migliore di Vasco da non so neppure quanto, un intro che ricorda il Tango degli anni d’oro, ma che vive di vita propria. Ma è nella fusione col testo che non si riesce a non riflettere e a trattenere le emozioni. Quante volte ci si chiede (io lo faccio sempre) se tutta “questa scienza” serva davvero a vivere meglio? “sai che si potrebbe restare per dei mesi appesi ad un aquilone guardando il cielo che si muove e il sole che muore?”. Forse solo su quell’aquilone, distaccati dal nostro mondo riusciremmo a capire. O no? Oppure dal Messico, “vado al massimo / vado a gonfie vele” ci fa tornare alla memoria che lui queste cose ce le dice da tanto e se le chiede da tanto. Ma le risposte sono ancora lontane. Chapeu!



Poi ancora rock, rock ironico, Non sei quella che eri, ironia sulla coppia che scoppia, sulla donna a cui non va bene mai nulla e che cambia sempre ”prima dici qui / poi volevi lì / poi che non dovevo neanche fare così / tu non sei quella che eri”. Divertente con un riff accattivante.


Stammi vicino è una canzone d’amore vasco-style dolce, ma amara, con una musica sopraffina (la prima scritta per Vasco da quel grande artista che è Stef Burns). Vale la pena ascoltarla solo per “faremo così come fossimo solo io e te in questo mondo ipocrita che non ha domani”. Non una delle migliori, ma impreziosita anche dall’assolo di chitarra meraviglioso.


E siamo arrivati alla fine, alle due canzoni “riempitivo” se vogliamo riassumerle, ma che sono proprio il manifesto del disco, un ritorno agli anni 80-90 nelle musiche e nei testi. Maledetta ragione, uno scarto di Liberi Liberi è divertente, rock anni '80 con un testo da presa in giro. E Mary Louise un ritorno di Susanna dopo 31 anni di oblìo, due chicche che vanno prese come due regali in più in un disco che comunque rimane il miglior disco italiano degli ultimi anni e di Vasco degli ultimi 15.
Il Blasco è tornato davvero, quasi non ci credevo, avevo perso le speranze di ritrovarlo ancora così ispirato in uno studio di registrazione. Ma invece è capitato e ha cancellato in un batter d’occhio tutti i dubbi musicali che mi avevano lasciato (pur essendo sopra la media della musica italiana) gli ultimi due lavori mediocri con all’interno alcuni, ma solo alcuni, spunti memorabili. Blasco c’è e speriamo che Dio ce lo conservi per un bel po'.

Lunedì, 11 Marzo 2013 12:49

Celebration Day // Led Zeppelin

Prima di decidere di scrivere davvero questa recensione ci ho messo alcuni mesi, mesi di riflessione. Cosa si poteva raccontare di un concerto atteso 26 anni? Cosa si poteva dire in più sulla rock band più influente della storia del rock? Cosa potevo dire di non banale?

Recensire il nuovo lavoro di un artista virtuoso e poliedrico come Dave Matthews è sempre un’impresa difficile se non altro per la varietà di suoni e sensazioni che riesce sempre a creare.

Mercoledì, 20 Febbraio 2013 15:12

Rodrigo y Gabriela // Rodrigo y Gabriela

Per quelli che non lo sapessero, Rodrigo Sanchez e Gabriela Quintero sono due giovani chitarristi messicani che suonano un mix di rock acustico, flamenco e musica latina da lasciare esterrefatti, soprattutto pensando che il tutto è prodotto suonando solo due chitarre acustiche senza sovraincisioni o accompagnamenti.

Mercoledì, 20 Febbraio 2013 15:06

Death Magnetic // Metallica

Dopo ben 5 anni di attesa e dopo un battage pubblicitario degno di un blockbuster di Hollywood, ecco finalmente uscita la nuova fatica dei Quattro Cavalieri di San Francisco, probabilmente la heavy metal band più influente, amata ed odiata della storia della musica.

METALLICA

www.metallica.com

Luogo: Mediolanum Forum, Assago (MI)
Data: 22 giugno 2009
Evento: World Magnetic Tour 2009
Voto: 10

Recensire un concerto della più influente e famosa heavy-metal band, probabilmente, di tutti i tempi, è un onore nonché un piacere…posso dire con orgoglio “io c’ero”. Sono passati ormai 13 anni da quel 28 settembre 1996, tournè dell’album Load, dall’ultima apparizione milanese dei Quattro Cavalieri e l’assenza si è sentita eccome; osservando le quasi 15.000 persone assiepate nel caldo soffocante del Forum (ci perdoneranno gli sponsor che cambiano ormai ogni anno, se usiamo solo il nome principale…) mi sono chiesto cosa deve fare una band di questo livello per avere lo stadio di San Siro…per chi scrive è davvero deprimente vedere uno stadio del genere dato ultimamente a cantanti che non meriterebbero nemmeno un locale di serie B, ma questa è un’altra storia… Il palco sistemato in mezzo al palazzetto, come usano fare i Metallica da quasi 15 anni, per avere il contatto con i fans su ogni lato (adesso qualcuno lo chiama “360” e sembra che l’abbia inventato lui…mah…), è davvero una grande invenzione perché permette di vedere tutti i componenti della band suonare di fronte a sé…spettacolo!!!

Prima dei 4 di San Francisco, come band di “spalla” si esibiscono in ordine Mastodon e Lamb Of God, ma complice un suono impastato e poco fluido, delle loro esibizioni si ricorda solo la presenza scenica devastante del cantante dei Lamb e poco altro… Alle 21:05 le luci si spengono improvvisamente e nell’aria riecheggia l’intro per eccellenza della band californiana, abbandonato solo nella tournè di Load, la colonna sonora de Il Buono Il Brutto e Il Cattivo…emozionante con la folla a scandirne la melodia…e poi il battito di cuore che apre il nuovo lavoro Death Magnetic… La band apre con That Was Just Your Life e The End Of The Line…i pezzi che sono anche l’incipit del nuovo cd, dal vivo non deludono…anzi acquistano maggiore forza sparati a mitraglia dagli amplificatori…forse unica pecca dello show…I volumi sono esagerati per il Forum e qualche volta il suono stride per l’eccessiva potenza…
Ma è con la terza canzone che il concerto “esplode”…”this is an old stuff”…quasi non ci si crede a sentire Disposable Heroes (1986) suonata in maniera devastante…commovente quasi…l’energia è la stessa di 23 anni fa…pazzesco… Ecco poi l’unica traccia proveniente dagli anni “hard-rock-country” della band e cioè uno dei pezzi migliori di quel periodo, The Memory Remains…il pubblico apprezza e si sostituisce a Marianne Faithful nel coro…brividi…che continuano quando dalle casse escono spari ed esplosioni…tutti sanno che sono il preludio ad uno dei pezzi più belli della discografia dei Metallica e cioè One…tecnica velocità e melodia…come 20 anni fa…fantastica..con tanto di fiamme uscite dal mezzo del palco…spettacolari!!! La serata procede con altri due pezzi dell’ultima uscita, Broken Beat & Scarred e My Apocalypse…dal vivo le nuove song non sfigurano e il pubblico sembra averle già metabolizzate alla grande.

“Do you want heavy?? ‘Tallica give you heavy baby!!” e Sad But True è servita…la voce di Hetfield sembra migliorare con gli anni…si fanno sentire l’astinenza da alcol e la cura delle corde vocali quasi maniacale del singer… La prima cover del concerto è Turn The Page, splendida canzone di Bob Seger poi la band ci regala la più bella traccia di Death Magnetic e cioè All Nightmare Long…secondo chi vi scrive il nuovo classico della band…senza parole!! Dopo un breve ma intenso assolo di Kirk Hammett, si prosegue con il singolo uscito a settembre, The Day That Never Comes e dall’immensa Master Of Puppets, sempre emozionanti gli 8 e passa minuti del pezzo ma è col seguente che la band sorprende il pubblico…una delle canzoni forse più estreme mai composte, Fight Fire With Fire…anche qui il tempo sembra essersi fermato per i 4…perfetta…anche se i volumi forse la rovinano un pochino.
Dopo un altro intermezzo di Hammett, ispirato come ai vecchi tempi, è il momento dei due capolavori tratti dall’album più conosciuto della band e forse della storia del rock recente, il Black Album: Nothing Else Matters (per chi vi parla la miglior ballad rock della storia assieme a Stairway To Heaven) e Enter Sandman…l’energia del pubblico sembra quasi stupire i Four Horsemen, che chiedono come mai siano passati così tanti anni dall’ultima data milanese…misteri del mondo…
Una brevissima e consueta pausa consente a Hetfield e soci di rifiatare quel minimo per riproporsi per i bis: Die Die My Darling, Trapped Under Ice e quindi una superveloce Seek & Destroy chiudono lo show in mezzo a enormi palloni da spiaggia neri griffati Metallica, lanciati sulla folla…delirio…
Citazione positiva per le luci davvero ben fatte e negativa per il suono un po’ troppo “spinto” ma per il resto uno show davvero energico e devastante come solo i Four Horsemen sanno fare…rimane il rammarico per non aver visto un tale spettacolo in una cornice più consona alla loro grandezza…e cioè quel San Siro regalato in questi anni ad “artisti” che non lo meriterebbe affatto…ma l’Italia musicale è anche questa purtroppo. In conclusione una serata riuscitissima, per una band che ha ancora tanto da insegnare ai giovani e alla musica rock…potenti veloci e trascinanti come pochi al mondo and nothing else matters.

Mercoledì, 03 Giugno 2009 00:00

I Lynyrd Skynyrd risvegliano una Milano sudista

LYNYRD SKYNYRD

www.lynyrdskynyrd.com

Luogo: Pala Sharp, Milano
Data: 3 giugno 2009
Evento: God & Guns World Tour 2009
Voto: 9

Dopo 70 minuti di trascinante southern rock d’autore, eccole le frasi da cantare che tutti i presenti al Palasharp di Milano (pieno all’inverosimile) stavano aspettando… “Big Wheels Keeep On Turning, Carry Me Home To See My Ki”…l’incipit di Sweet Home Alabama riecheggia nel palazzetto che esplode e canta a squarciagola nonostante sappia che la serata volge al termine. Ascoltare dal vivo questa canzone, per chi vi parla, è stata una grandissima emozione e poco importa che i critici ritengano i Lynyrd Skynyrd attuali, niente più di una cover band di lusso e che dei membri originali sia rimasto solo il grandissimo chitarrista Gary Rossington (ultimamente la band ha perso anche il tastierista Billy Powell e il bassista Ean Evans).
I critici comunque non potranno negare che la band attuale ci sa fare alla grande e che il southern rock che esce dagli amplificatori trascina il pubblico. Grandissimo trascinatore il frontman Johnny Van Zant, fratello del compianto cantante storico della band Ronnie, deceduto nel famoso incidente aereo del 20 ottobre 1977 nel quale morirono anche il chitarrista Steve Gaines e la corista Cassie Gaines.

La band nonostante una sorta di maledizione che sembra non abbandonarla mai, è più viva che mai ed entra sul palco milanese con un intro a sorpresa rubato agli AC/DC (Thunderstruck) ma che subito lascia spazio alle note di Workin For MCA, I Ain’t The One e Saturday Night Special…complici i volumi non altissimi e probabilmente anche il caldo, la gente entra in “clima sudista” sulle note del quarto pezzo, What’s Your Name. La mitragliata di grandi classici del rock anni ’70 esalta le migliaia di persone presenti, un pubblico variegato che più non si può…dai bikers con giubbotti di pelle e tatuaggi ai giovani liceali con le toppe delle rockband sullo zaino, dagli impiegati in camicia ai padri con i figli giovanissimi…il rock unisce e non tradisce, diceva qualcuno…
Ma è con la commovente ballad Simple Man, che definitivamente ci si dimentica di essere a Milano e si entra nelle strade circondate da paludi dell’assolata Alabama…sentirla suonare dal vivo e cantare da tutti ma proprio da tutti è stato da brividi…

Il concerto prosegue senza un attimo di pausa e i classici si susseguono come un treno in corsa che ti travolge e ti entusiasma, That’s Smell, Whiskey Rock-A-Roller e un riuscitissimo medley composto da Down South Jukin, The Needle And The Spoon, Double Trouble e Tuesday's Gone. Il caldo soffocante del palazzetto milanese contribuisce ad alimentare l’atmosfera “sudista” della serata e Van Zant è quasi stupito della straordinaria partecipazione dell’audience italiana…che di certo non ha meritato questa assenza prolungata dalle nostre terre (12 anni…) e forse per le prossime tournè qualcosa cambierà speriamo…

Le due splendide cavalcate rock, Gimme Three Steps e Call Me The Breeze fanno saltare e cantare tutti ma il pubblico sa che sono solo il preludio al gran finale…quello che tutti aspettavano da anni…Van Zant afferra il suo microfono avvolto in una bandiera americana e confederata e lo sventola…eccola la canzone tanto attesa, una delle più belle canzoni rock di tutti i tempi…Sweet Home Alabama…e il pubblico cantandola quasi copre il gruppo…emozioni a raffica…ripensandoci vorrei rivivere quel momento più e più volte…emozioni che solo il rock ti può dare…ma non è finita… Dopo la pausa l’unico bis concesso…e che bis…un’altra perla del repertorio della band southern rock per eccellenza, l’inno dei bikers di tutto il mondo…Free Bird…con assolo finale di almeno 5 minuti che Gary Rossington, Rickey Medlocke e Mark Matejka suonano con tutte le forze rimaste…che energia ragazzi!!

In conclusione un grandissimo concerto per una band mitica, con un grandissimo passato e, secondo me, anche un grande futuro…le migliaia di persone accorse stasera sono una testimonianza di questo…certo non saranno mai come gli originali ma la sincerità, la dedizione, la grinta e l’amore per la musica sono gli stessi e il nome Lynyrd Skynyrd resta come un marchio D.O.C. a garanzia che sarà sempre rock sudista quello che uscirà dagli amplificatori e sarà sempre la bandiera confederata quella che sventolerà sopra le loro teste. “Cause I’m a Free Bird And This Bird You Cannot Change….

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