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SENZA MUSICA LA VITA SAREBBE UN ERRORE Friedrich Nietzsche

Martedì Aprile 23, 2024
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Alfonso Gariboldi

Alfonso Gariboldi

Poesie, racconti, recensioni: la caleidoscopica  proposta di Alfonso Gariboldi per AMA music si traduce in una acuta retrospetiva che indaga vizi e virtù degli album che hanno fatto la storia della musica. Ogni sua recensione è arricchita da un collegamento storico, un aneddoto, una riflessione sagace che contribuisce a delineare lo stile irreprensibile e irriverente della rivista.

Per ulteriori informazioni circa l'attività letteraria di Alfonso rimandiamo al suo sito personale www.alfonsogariboldi.it

URL del sito web: http://www.alfonsogariboldi.it
Giovedì, 03 Febbraio 2011 11:06

Il reflusso degli Eighties

E’ notizia di pochi giorni fa che gli Abba ritornano insieme. Per voce della cantante Agneta Faltskog, il gruppo si ritroverà a breve per discutere tempi e modi, e soprattutto scopi, della reunion. “Qualcosa faremo sicuramente, l’idea per il momento è di legare il nostro ritorno a pochi eventi con scopi benefici”. Gli Abba si erano sciolti nel 1982, all’indomani della pubblicazione di “The visitors”, e in un trentennio non avevano mai paventato una riunione.

Nel 2009 si erano riuniti gli Spandau Ballet, che avevano inciso tra il 1980 e il 1989. Nel corso di questi vent’anni di pausa, una lunga azione legale ha visto protagonisti tre quinti del gruppo per loyalties legate al songwriting contro Gary Kemp, chitarrista e autore pressoché unico del materiale, che vincerà la causa. Malgrado questo, la band s’è ricostituita e ha intrapreso una tourneè di successo, basata su un nuovo album, “Once more”, davvero pregevole, che contiene due inediti (di cui uno, primizia assoluta, composto da Tony Hadley) e una ventina di successi riarrangiati per l’occasione. Oserei dire “deottantizzati” per l’occasione.

I Duran Duran, di cui gli eighties hanno parimenti decretato il trionfo planetario e la rovina, non si sono mai sciolti ed hanno inciso costantemente, ma è innegabile che il favore del pubblico sia tornato ad arrider loro nel momento in cui si sono, circa dieci anni fa, ricostituiti nella formazione originale, con la quale iniziarono nel 1981. (Nel frattempo l’irrequieto Andy Taylor ha ri- litigato con tutti e se n’è già ri- andato). Risultato: il nuovo singolo “All you need is now” spopola da un mese su I-Tunes, in attesa della pubblicazione. Anche i Police non si sono mai ufficialmente separati, sebbene l’ultimo materiale registrato a loro nome risalga al 1986. Dopo una breve sosta di quattro lustri e rotti, i tre hanno intrapreso un world tour di circa un anno e mezzo, prima di riprendere ognuno la sua strada, con rimpolpati conti in banca. Altre voci più o meno fondate riguardano altri gruppi che negli ottanta hanno visto il loro maggior fulgore, come i Van Halen ad esempio, ma in genere si sta assistendo a un ragguardevole riflusso di musiche, colori e ritmi provenienti da questo decennio tanto criticato dai puristi quanto rimpianto da vastissime frange di pubblico, che non senza ragione sostengono che chi non l’ha vissuto non sa cosa s’è perso.

Indipendentemente dalle motivazioni, inutile negare, prettamente economiche, del riaffacciarsi sulla scena di molti dei protagonisti dell’epoca, la cosa non è, a livello prettamente stilistico-tecnico, del tutto disprezzabile. Il mio parere è che bisogna risalire al grunge dei primi novanta per trovare un momento storico altrettanto significativo e pregnante, o quanto meno all’“Indie rock”, della prima metà dello stesso decennio (A proposito, anche i Blur meditano una riappacificazione..). Ma con il nuovo secolo, disgraziatamente sballottato tra hip e trip hop, rap, techno, dub e altre tristezze, la povertà (assenza?) di idee, di proposte, d’inventiva, d’emozioni in campo musicale è semplicemente raggelante. Non c’è un solo movimento degno di nota, l’offerta è immensa quantitativamente e risibile qualitativamente. Ben venga l’ operazione nostalgia dunque, che quanto meno comprende tutta gente che uno strumento lo sa suonare, e se l’educatissima e selezionata audience odierna la rifiuta, allora è giusto che spopolino “artisti” quali Rihanna o Lady Gaga, le cui gesta e peculiarità artistiche saranno tramandate ai posteri come emblema della musica del Duemila. Poveri posteri.

Alfonso Gariboldi

Martedì, 30 Novembre 2010 08:39

Il compleanno di Pink

Uno dei personaggi più controversi della musica internazionale compie oggi 31 anni. E’ la celebre rockstar Pink, figlia di Roger Waters e del suo gruppo di cui non ricordo il nome, che ne ha celebrato le gesta in un doppio album, emesso appunto trentun anni oggi, chiamato “The wall”. Il muro è quello che, fin da giovanissimo, Pink edifica intorno a sé. Pareti altissime, invalicabili, cementate giorno dopo giorno dalle sue esperienze: padre morto in guerra, madre opprimente, scuole come centri di tortura. Il ragazzo cresce con una devastante incapacità di comunicare e di vedere il bene nel prossimo. Così Pink, divenuto rockstar, si rinchiude gradualmente dietro pareti intrise di follia.

Seguiamolo nel suo folle viaggio, che si estende per le venticinque tracce dell’album.

In the flesh?. Un prologo secco, perentorio. Pink sta per esibirsi in pubblico, ma avverte gli ignari spettatori che, stavolta, lo show potrebbe non essere ciò che loro si aspettano di vedere, e lui non essere l’idolo che tutti credono. Si toglie la maschera ed esibisce, in pasto alla folla, la propria schizofrenica esistenza.

The thin ice. E sotto la maschera troviamo un bimbo. L’ infanzia di Pink è tranquilla come molte altre. L’amore dei suoi genitori, l’azzurro di un cielo che pare non tramontare. Ma crescendo, il “ghiaccio sottile della vita moderna” lo porterà ad imbattersi in crepe sempre più pericolose.

Another brick in the wall part.1. Pink conosce presto il primo grande trauma della propria esistenza: la scomparsa del padre in guerra. Bruciata in fretta la propria innocenza, il piccolo, cinico Pink inizia la costruzione: “Dopotutto era solo un mattone nel muro”.

The happiest days of our lives. A scuola, Pink è circondato e terrorizzato da insegnanti oppressivi e repressivi, che a loro volta sfogano le frustrazioni cui le loro mogli “grasse e psicopatiche” li sottopongono.

Another brick in the wall 2. Esplode la protesta di Pink e i suoi compagni contro il sistema scolastico, formato da individui che non sono altro che nuovi mattoni nel muro di Pink.

Mother. Per il ragazzo però, all’orizzonte si staglia la figura maestosa e rassicurante della Madre. Che lo proteggerà in ogni momento, e così facendo lo renderà ancora più insicuro e impreparato ad affrontare la vita. La quale per il giovane porta ogni giorno nuove questioni irrisolte.

Goodbye Blue sky. Qui Pink, ad esempio, si chiede il perché della guerra, della quale comprende solo il fatto che dopo di essa, niente nella sua vita sarebbe rimasto lo stesso.

Empty spaces/Young lust. In essa infatti, l’incomunicabilità e le incomprensioni cominciano ad essere un problema serio, per un Pink che cresce ma resta fragile psicologicamente. “Come riempiremo gli spazi vuoti in cui eravamo soliti parlare?”, si chiede sconsolato. Un riempitivo, leggero e indolore, potrebbe essere il sesso. La figura femminile, nell’alienata mentalità del nostro protagonista, dev’essere sporcacciona e anonima, deve farlo diventare un vero uomo senza implicazioni affettive e personali. Non c'è spazio per l'amore.

One of my turns. A ciò s’aggiungano le paranoie e le crisi di follia che attanagliano un ormai adulto Pink, che spaventano e mettono in fuga chi gli sta vicino.

Don’t leave me now. Nei brevi attimi di lucidità, Pink supplica l’altra di restare, in modo quanto meno imbarazzante: “..per salvare la faccia di fronte agli amici e riempirti di botte il sabato sera…”. E' la fine del rapporto, Pink viene abbandonato.

Another brick in the wall 3. In un impeto d’orgoglio, Pink dichiara di non aver bisogno di niente e nessuno. Nè donne, né droghe, ricchezza o pubblico; tutto rappresenta nient’altro che nuovi mattoni nel muro. Goodbye Cruel World. Ed è qui che tocca il fondo, l’incubo dell’anelito suicida ne tormenta le notti.

Hey you. A metà del viaggio, però, una flebile luce in lontananza pare riaccendere in Pink speranze di salvezza. “Tu, là fuori…(dal baratro)..puoi aiutarmi?”, chiede rantolando. Ma il muro è già troppo alto, non può liberarsene.

Is there anybody out there. Il suo richiamo resta drammaticamente inascoltato. Il nuovo mattone del muro di Pink è la sua solitudine.

Nobody home. Pink comprende che, chiuso com è in sé stesso, tutto quanto possiede, e che lui stesso quattro tracce prima ha riconosciuto inutile, non lo salverà dal buco nero in cui scivola, se non riuscirà a ricreare almeno un autentico, leale contatto umano.

Vera. Pink è assalito dai ricordi. La sua lei è ormai sparita per sempre, e con lei le speranze della sua gioventù.

Bring the boys back home. Distrutto dal raggelante peso delle proprie negatività, Pink ricade in una lucida, metallica follia e ripete, sconnessamente, una frase: “Riportate a casa i ragazzi!”. Un patetico riferimento al bimbo che lui vorrebbe tornare a essere?

Confortably numb. Ma Pink non può permettersi di indugiare nel delirio. E’ una rockstar e deve esibirsi. Il suo medico, cui lui narra altre reminiscenze giovanili, non lo ascolta, lo riempie di psicofarmaci e lo ributta in pasto al pubblico.

The show must go on. Lo spettacolo deve continuare, appunto, e il nostro s’esprimerà in tutta la sua devastante paranoia, supplicando addirittura nel vaneggiamento i genitori di riportarlo a casa, "temo di non ricordare le canzoni”.

In the flesh. Pink torna in scena. Nelle sue ininterrotte allucinazioni, immagina una band che lo surroghi, formata da filonazisti che incita il pubblico alla pulizia etnica, ottenendone un trionfo senza uguali. La cieca idolatria dell’audience spinge ancor di più Pink verso il baratro.

Run like hell. Nel vortice dello show, Pink ha un ultimo barlume di lucidità e capisce di dover tentare una fuga, per valicare il muro che lo sta ormai soffocando. Ma le paure, le visioni, gli incubi lo sovrastano impietosamente.

Waiting for the worms. Si immagina assalito dai vermi, mentre lui anela a “ripulire la città e accendere forni”. L’ ossessione nazista che s’associa, è inevitabile, all’idea della morte.

Stop. Al culmine del furore autodistruttivo, la parola che salva Pink è “Stop”. “Voglio lasciare lo spettacolo, togliere l’uniforme e andare a casa”. Un bagliore di razionalità, che significa rinascita? Non è tanto semplice.

The trial. Prima di risorgere, Pink affronta uno spietato, terrorizzante processo interiore, che ne deciderà le sorti. Vi si riassume ogni passaggio esistenziale di Pink, in pratica tutti i mattoni che hanno contribuito a costituirne il muro e a portarlo a un passo dall’abisso. “Vostro Onore il Verme” lo giudica, e l’accusa è pesante: è quella di “iniziare a mostrare sentimenti umani”. Con il suo stop alla follia, alle perversioni, al razzismo, alle chiusure, allo show-biz. Chiaro il dilemma del nostro, ossia se questo suo cambiamento sia giusto o meno. E al termine di questo processo fondamentale, la decisione è presa. Abbattete il muro!

Outside the wall. La storia di Pink ha così un lieto fine, incitando alla speranza e alla positività, e a non cadere nelle trappole dell’incomunicabilità e dell’egoismo. Non tutti ce la fanno, naturalmente. Ci sarà sempre chi “picchierà il cuore contro il muro di qualche pazzo bastardo!” .

Una storia così non merita un riascolto?

Alfonso Gariboldi

Mercoledì, 10 Novembre 2010 07:19

Croce addosso a Califano? Si, ma...

Franco CalifanoLa notizia è arcinota. Il celebre cantautore Franco Califano, 72 anni, ha richiesto l’applicazione a suo favore della legge Bacchelli per motivi di necessità. La legge prevede “l’assegnazione di un contributo straordinario a quei cittadini che si sono distinti nel mondo della cultura, dell’arte dello spettacolo e dello sport, ma che versano in condizioni d’indigenza.” A causa di una menomazione, Califano non può più lavorare (leggi = fare serate) e ritiene di avere i diritti per beneficiare della legge suddetta. Immediato il coro di critiche da parte dell’opinione pubblica. Per sua stessa ammissione, l’autore de “Tutto il resto è noia” non s’è certo mai distinto come risparmiatore, e molti ora si scandalizzano del temerarietà d’una simile richiesta.

Non so se Califano otterrà l’applicazione della Bacchelli e non mi va molto, pur comprendendolo e potendo facilmente entrare a farne parte, d’ unirmi al coro di riprovazione.
Gli artisti, in tutti i campi, hanno sempre avuto una patina d’invulnerabilità, oserei dire di impunibilità, e le proteste, legittime e sacrosante, della cosiddetta gente comune si sono (quasi) sempre risolte in parole al vento.
Un esempio su tutti.
Maradona è tutt’ora un idolo per un considerevole numero di nostri connazionali. Pensate che la loro opinione cambi, dopo aver magari letto il seguente articolo pubblicato sul Corriere della Sera lo scorso 7 settembre?

Potrei citarne altri. Tornando all’affaire Califano, mi domando piuttosto per quale ragione il cantautore abbia sentito il bisogno di perorare la propria causa pubblicamente, sotto i riflettori. Non era il caso, vista la delicatezza della questione, muovere tutti i passi necessari avvolgendosi nel più totale riserbo? Ho già sentito una spiegazione: sensibilizzare l’opinione pubblica nei riguardi degli artisti in difficoltà. A parte il fatto che il pollice verso dell’opinione pubblica era soltanto prevedibile, ho anch’io una mia interpretazione: parlate bene o male di me, basta che ne parliate. La pubblicità è sempre l’anima del commercio.

Venerdì, 15 Ottobre 2010 13:55

La secolare carriera dei morti viventi

Il nuovo album dei Queen, The Singles Collection, vol.4, sarà divulgato il prossimo 18 ottobre dalla Parlophone. E’ la 14esima pubblicazione relativa al gruppo, fatta salva la parentesi di Paul Rodgers + Queen, dalla dipartita di Freddie Mercury, nel novembre del 1991. Con il leader in vita, compreso il postumo ma da lui inciso Made in heaven, la band s’ era fermata a 19, e non c’è ragione per non pensare che questa quota verrà superata a breve.

Ben tre invece le uscite discografiche per John Lennon in questo suo indaffarato 2010. Tutte il 5 ottobre, tutte per la Capitol: Gimme Some Truth, Power To The People: The Hits, John Lennon Signature Box. Il prolifico ex-baronetto approda così alle pubblicazioni numero 15, 16 e 17. Dopo la sua morte, s’intende.
Le forme? Le solite: platinum collection, greatest hits, absolute greatest (!), classic, live, legend, unplugged, acustic, very best, box sets con foto, interviste, video, multimedialità e via discorrendo.

Questo articolo è una semplice elencazione di numeri e date con l’intento di ribadire un’ovvietà: il mito è una gallina dalle uova d’oro che non va mai in menopausa, un’eterna mucca da latte, una schedina di superenalotto che dà sempre sei. Superfluo forse a questo punto sarebbe il ribadire l’assoluta inopportunità di questi dischi. I Queen di Mercury non ci sono più, prendetevi il Paul Rodgers al limite, ma lasciate stare le “ultime uscite dei Queen con Freddie.” Per non parlare di Lennon, che quest’anno compie i trent’anni di carriera da morto contro i venti che ha avuto da vivo. E non venitemi a raccontare le balle degli inediti, che sono comunque sempre in numero irrilevante rispetto ai soliti mega hits ripresentati all’infinito. Se l’artista aveva deciso di lasciarli inediti, ci sarà stato un motivo. Così come c’è un motivo, misero ed indistruttibile, per ingolfare di continuo il mercato con le “nuove” opere dei nostri.

Venerdì, 16 Luglio 2010 14:15

Limiti di dignità

Sono sette anni che David Bowie non emette novità discografiche. Non che in questo lasso di tempo non abbia dato notizia di sé: ha pubblicato compilations, partecipato a collaborazioni anche illustri, ha sbancato (gennaio 2010) il web con il live relativo al “Reality Tour” e soprattutto ha avuto problemi di salute molto seri, sei anni fa, pare totalmente superati. Ma dischi nuovi, nisba. L’ultimo, “Reality”, appunto, era opera matura ed intrigante, e nulla lasciava presagire che il successore si sarebbe tanto fatto aspettare. Ma ci sarà un successore? Il Duca ha compiuto 63 anni da sei mesi, un età oggi risibile per chi fa musica.

Ringo ha appena festeggiato i 70 con mega party e mega live. L’amico Paul ne conta 68, Mick e l’altra pietra simbolo Keith Richards raggiungono quest’anno i 67 e potremmo proseguire a iosa. E se l’artista londinese si fosse accorto di non aver più nulla d’ importante da dire per cui sbattersi ad incidere nuovo materiale? Si può anche ampliare e deformare il discorso in questo senso. Quando è bene che un musicista appenda microfono e strumenti al chiodo? Credo sia giusto che non vengano posti limiti particolari, a livello di incisioni discografiche, se sinceramente l’artista ritiene di dover esprimere qualcosa e non per riempire a caso, ma remunerativamente, un compiaciuto ammasso di vinile. A livello di esibizioni dal vivo, io credo che invece un freno vada posto. E’ giusto, che i palcoscenici del rock mondiale (Italia inclusa) siano calpestati da ragazzi irresistibili con carriere cinquantennali ed oltre? Le personalità che ho citato prima e gli altri miti del rock over-60 e 70 non hanno più bisogno, credo, di consumare ore in palestra e barili di tinta per capelli e scimmiottare se stessi sopra un palco.

Purtroppo è esattamente ciò che si continua a vedere per televisione e dal vivo. Dicano quel che han da dire, se ce l’hanno, con le produzioni da studio, ma non mi si venga a fare un discorso di soldi e lascino i palchi ai giovani, o quanto meno agli adulti. Tornando al duca, se Bowie è in pausa, oppure non inciderà più, per vena esaurita, tanto di cappello. Pensione meritata.

Alfonso Gariboldi

Martedì, 27 Luglio 2010 00:00

No Speech Live @ Rockcantina - Inveruno

NO SPEECH

www.nospeech.it

Luogo: Il Torchio, Inveruno (MI)
Data: 27 luglio 2010
Evento: Rockantina 2010
Voto: 7

Ostacolato a lungo a livello logistico dal temporale, con tanto di grandine, che s'era abbattuto in loco nel tardo pomeriggio, il concerto dei No Speech ha caratterizzato la seconda serata della manifestazione annuale "Rockcantina", che rinfresca di buona e talvolta ottima musica le estati del milanese. La vocalist, Alteria, prende subito in mano la situazione. Scusandosi del breve ritardo, introduce con grinta lo spettacolo con una sorpresa: un breve estratto di Relax dei Frankie goes to Hollywood. Cover band anni '80? Non scherziamo. Un minuto scarso più tardi, senza soluzione di continuità, il sound del gruppo vibra verso il rock, del quale impregnerà l'intero show: Open Your Eyes dei Guano Apes,Call Me dei Blondie e Welcome To The Jungle dei Guns ne sono un corposo antipasto.

Nel frattempo, Alteria ha già smesso il custome di scena trattenendo unicamente un body scoperto sulla schiena che ne modella la figura sinuosa e scattante. E sul palco corre, si dimena, trascina il pubblico il cui consenso cresce con il passare del tempo e dei pezzi. Il calibro aumenta: tocca dai Deep Purple, ai Led Zeppelin di Whole Lotta Love ed al primo assaggio di AC/DC (T.N.T.). Tony è via via più coinvolgente; raccoglie ragazze dal pubblico sul palco, dissemina turpiloquio con moderazione e attira l'audience fin sotto al palco, ululando incoraggiamenti. Breve intoppo: crampo al batterista. Risolto con versione acustica voce-chitarra di Zombie, durante la quale proprio nessuno si sottrae dall'unirsi al refrain. Secondo breve intoppo: falsa partenza di Rock'n'Roll (ancora Led) per black out improvviso. Niente paura: i quattro ne eseguono una versione ancora più cattiva, con il batterista Manuel che deve evidentemente essersi ripreso bene dal crampo, dato che al termine del brano cava un finale di batteria strepitoso e prolungato; dovunque oggi si trovi, John Bonham non potrebbe che applaudire.

I musicisti sono eccellenti: oltre al succitato drummer, il bassista Nando disegna trame che s'intersecano perfettamente con le potenti e precise linee di chitarra di Tony. Dal canto suo, la vocalist non perde un colpo e conduce il concerto con padronanza scenica invidiabile. Il finale è un crescendo di bombe hard'n'heavy e chiude in trionfo: si passa da Highway To Hell per entrare in territorio-Metallica con Enter Sandman e Master Of Puppets. L'apoteosi è negli ultimi dieci minuti dello show, governati dai Sistem of a Down. Nelle prime dieci file i giovani cominciano a pogare, si sbattono addosso l'un contro l'altro cercando di farsi del male fisico, alzano le mani all'unisono, strepitano: durante Toxicity ho visto un invasato dimenarsi paurosamente, dilatando la mandibola e mutando di colore sul viso. Al termine del brano ha assunto un'espressione impassibile, tipo confessionale. Credevo fosse il rigor-mortis, invece poi l'ho visto andarsene con degli amici sorseggiandosi una Guinness.

I No speech, nel frattempo, terminano nel tripudio e si prestano volentieri al contatto con la gente mentre le luci si spengono. Davvero un'esibizione impeccabile per questi quattro ragazzi simpatici e molto, molto talentuosi. Per saperne di più: www.nospeech.it. Io appena posso torno a vedermeli di corsa.

Martedì, 19 Gennaio 2010 00:00

Amurdur – Live in Milan

Alberto Astorri, Simone Ricciardi, Paola Tintinelli

Luogo: Teatro Filodrammatici, Milano
Data: 19 gennaio 2010
Evento: Tournee 2010
Voto: 8

E' riduttivo parlare di presentazione, di reading, di spettacolo multidisciplinare; la densità evocativa che ha pervaso il palcoscenico del Palketto Stage lunedì 30 maggio sarà anche nata da uno sforzo intellettuale, ma, quando la platea viene coinvolta in quel modo, è perchè la mente riesce a volare altrove.

Laura Pariani vuole dare un assaggio del suo Milano è una selva oscura, libro entrato nella cinquina dei finalisti del Premio Campiello 2010, e vuole anche che il boccone sia succulento, vuole la suggestione come ingrediente imprescindibile. E' così che la storia del suo protagnista, il Dante, passa attraverso le pagine lette dalla stessa autrice, intercalate da alcuni altissimi momenti musicali ad opera de Le Malecorde cui fanno da sfondo una serie immagini in movimento, 13 video ideati da Laura Pariani, Greta Rosso e Nicola Fantini.

La lettura ha quindi inizio: sulle parole di Milano è una selva oscura i musicisti entrano in scena con discrezione, uno alla volta, e prendono posto accanto ai loro strumenti per il primo contrappunto al testo di Laura Pariani. La Milano del 1969 più che uno sfondo per le vicessitudini di Dante, ex libraio divenuto barbone, e dei personaggi che lo accompagnano nella solutudine della selva in cui si muove, è un personaggio a tutti gli effetti, vivo e presente, con un cuore che pulsa.

Per la seconda lettura la parola è affidata allo stesso Dante, sotto forma di burattino con le sembianze del poeta fiorentino. Sono una trentina in tutto i personaggi evocati in questo modo, una trentina di marionette realizzate sulla base di disegni di Laura Pariani, diventati protagonisti dei video in proiezione durante la serata.

Ineccepibili Le Malecorde continuano con un adattamento musicale della poesia dialettale di Carlo Porta, passando dai classici della scena milanese anni '70 per planare con disinvoltura su un arrangiamento violino e chitrra di Wonderful World. Alcune perle come La ballata del Cerruti di Giorgio Gaber e l'Armando di Enzo Jannacci lasciano un senso di soddisfazione quasi fisica tra il pubblico, che non può in alcun modo opporsi all'effetto trascinate della musica. Il momento culmina con una reazione entusiastica sulle note finali di Ho visto un re, durante la quale la stessa autrice del romanzo, apparentemente imperturbabile anche nel fluire partecipato delle sue parole, si lascia trascinare euforicamente dalla grandiosa intrpretazione de Le Malecorde.

Gioco riuscito, connubio emozionante. Non resta ora che immergersi nella lettura del libro Milano è una selva oscura, certi che le aspettative non potranno essere in alcun modo tradite.

Sito ufficiale di Laura Pariani: www.omegna.net/pariani

Le Malecorde sono:

Giovanni Battaglino: voce, chitarra acustica, basso Matteo Bagnasco: voce, chitarra classica, basso Valeria Benigni: voce Simone Rossetti Bazzaro: violino Paolo Mottura: basso, chitarra acustica e classica Lucia Battaglino: voce, flauto, percussioni Emilio Berné: batteria



Sito ufficiale de Le Malecorde: www.malecorde.it

Inveruno è rockabilly

THE DI MAGGIO CONNECTION

www.myspace.com/thedimaggioconnection

Luogo: Il Torchio, Inveruno (MI)
Data: 17 luglio 2009
Evento: Rockantina 2009
Voto: 7

La serata di venerdì 17 luglio di Rockantina a Inveruno è stata impreziosita dall’esibizione di una straordinaria band toscana, la Di Maggio Connection. In oltre due ore di spettacolo e sotto il crescente consenso di una folta cornice di pubblico, il trio governato da Marco di Maggio ha incantato con le sue avvolgenti atmosfere rockabilly, efficacemente contaminate da flussi di swing, ska e buon vecchio r’n’r.

Forti di una carriera che li vede protagonisti della scena italiana e non da oltre dieci anni, i tre dominano fin dall’inizio il palco in scioltezza sciorinando un repertorio che comprende molti brani originali, composti dallo stesso Di Maggio, particolarmente tratti dal recente disco The Route Of Life. L’ascolto di queste canzoni permette subito di rendersi conto della tecnica raffinata dei tre, la potenza e la precisione del contrabbassista Matteo Giannetti e la snella inventiva del batterista Marco Bersanti unite alla versatilità del leader creano un cocktail davvero esplosivo. La prima parte del live è dominata da questi pezzi, tra cui i più vivaci ed apprezzati sono certamente Easy For You e All By Myself, (non l’hit di Eric Carmen…),dilungata ed arricchita da sonorità al limite del prog. Le proprietà tecniche del chitarrista sono impressionanti, e giustificati appaiono i numerosi riconoscimenti internazionali che di Maggio può vantare. Col procedere del concerto la band tiene saldamente in mano il pubblico, che si accalca sotto lo stage. Ad un certo momento ho chiuso gli occhi, ho spalancato le orecchie e mi son trovato in pieno Stray- cats boom, oltre vent’anni fa…

E’ il momento buono per conquistare definitivamente l’audience, ed i tre ci riescono con un collaudato repertorio di cover illustri, che constano di rielaborazioni in chiave del tutto personale ed originale di una gamma di artisti che va da Chet Baker a Brian Setzer. Tra di esse, notevoli le versioni di Every Breath You Take e Don’t Let Me Be Misunderstood. I consensi fioccano, la gente inizia a ballare al ritmo di un’inattesa Twenty Flight Rock. I musicisti, completamente a loro agio, non perdono occasione per dare spazio a qualche simpatica gag, con il contrabbassista nelle vesti di mattatore e showman, mentre di Maggio rifiata e riaccorda. Altro che venerdì 17, una serata totalmente riuscita ed un successo completo e meritato. Vi consiglio di sbirciare il sito web o my space per le prossime date della band ed ovviamente di correre ad ascoltarli.

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