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SENZA MUSICA LA VITA SAREBBE UN ERRORE Friedrich Nietzsche

Venerdì Aprile 19, 2024
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Follia bionda

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Courtney Love - Storia di musica di Cesare G. RomanaDi bello, Courtney Love ha soprattutto la bocca, con quelle labbra così perfette che sembrano disegnate. Ma a sedurre Kurt Cobain, suo marito, fu la parlante rotondità delle sue natiche, e forse quel suo carattere da efferata bambina, che marcia contro le avversità della vita col solo intento di inventarne di nuove. Entrambi musicisti, entrambi cantanti, entrambi eroinomani, lui in continua altalena tra depressioni mortali ed entusiasmi caduchi, lei sempre intenta a scagliare folgori al cielo, per dissiparne l'azzurro. Lui impregnato di morte fin dall'infanzia, terrorizzato dalla celebrità, tormentato dall'incapacità a «scrivere musiche che, riascoltandole, mi piacciano», lei assetata di fama purchessia, dotata di un suo arrogante amore per la vita.

Furono quello che si dice una strana coppia, eppure perfetta: tanto simili e tanto opposti da integrarsi in una sorta di dissonante armonia. E a loro agio nella passione come nella rissa. Quando si sposarono - nel '90, in Estremo Oriente, lui strafatto e lei tutta un florilegio di fuck e fuck you - Courtney aveva ventotto anni. Era nata nel '64 a San Francisco, primogenita d'una quindicina tra fratelli e fratellastri, da una psicologa alquanto svitata, Linda, e da un biografo dei Grateful Dead, Hank Harrison. Poi i genitori divorziarono e Linda, trasferitasi in una comune neozelandese, portò con sé la piccola Love Michelle, cambiandole il nome in Courtney e scaricandola or qua or là, tra collegi ed affidamenti. Tutti resi effimeri dal caratterino di quella pupattola biondissima, lattea, il cui aspetto ricordava certe sataniche fanciulle da film horror. «Alle feste tutti s'aspettano che appicchi il fuoco o spacchi i vetri - dirà anni dopo -, io cerco di mostrarmi gentile ma alla lunga non reggo».

Non fu propriamente un'infanzia felice, ma ricca di premonizioni e di esperienze, questo sì. Non ancora adolescente, Courtney vede Tatum 'O Neal recitare in Paper moon, decide: «Farò l'attrice» e la sua vocetta tiene banco in jingles pubblicitari e doppiaggi. Intanto la madre si trasferisce nell'Oregon e la riprende con sé. Courtney festeggia il trasloco facendosi sorprendere a rubare in un negozio e scappando da casa. Ha diciotto anni, va a Liverpool e lavora in una discoteca per travestiti, poi vola a Minneapolis e s'improvvisa divetta punk fondando le Sugar Baby Doll, delle quale dirà: «Erano penose, speriamo che non abbiano lasciato registrazioni in giro». Del resto l'ambiente musicale, a Minneapolis, le sembra un deserto, «e io sono troppo estroversa per sentirmi parte di qualsiasi ambiente», decreta. Così torna a San Francisco, canta con i Faith No More, va in Alaska dove, da cameriera di topless bar, diventa spogliarellista da duecento dollari a sera: «Non sono una bellezza, sono scarsa di stile e di tette», riconosce, ma sopperisce con la verve.

Trapiantata a Los Angeles il regista Alex Cox la fa recitare in un western, Diritti all'inferno, poi la vuole in Sid & Nancy, un film su Sid Vicious (Sex Pistols) morto dopo avere assassinato la fidanzata Nancy Spungen: dapprima, Courtney dovrebbe impersonare quest'ultima, poi Cox le preferisce Chloe Webb e la dirotta in un ruolo di contorno. Lei abbozza: «E' insensato inseguire la fama», sentenzia, e fonda gli Hole, tuttora il suo gruppo, guadagnandosi da un recensore la definizione di "diabolica, splendida icona punk".

Durante un concerto Kurt Cobain la vede e ne è attratto: perché è bionda come lui, perché gli ricorda per l'appunto Nancy Spungen, perché dice quello che pensa, «magari parlando prima di pensare». Lei ricambia l'interessamento pur essendo fidanzata con Billy Corgan, degli Smashing Pumpkins: sedotto, costui, dal fatto che «Courtney, se diventasse un'artista solista, supererebbe la fama di Patti Smith. Ha un enorme talento grezzo e nella sua follia c'è l'intelligenza d'un genio. Ma è un personaggio da fumetti, è posseduta da un'idea parossistica del rock». Cobain le dedica pubblici apprezzamenti, Courtney gli invia una scatola a forma di cuore piena di pigne, conchiglie, fiori, una bambola e un servizio da te in miniatura. E Kurt ringrazia scrivendo Heart-shaped box. La prima volta che s'incontrano, Courtney gli allunga una pacca sullo stomaco che gli toglie il fiato, l'altro gliela restituisce e dopo una cordiale chiacchierata si congedano a calci nel didietro.

La neonata amicizia dà sui nervi a Corgan, che una sera caccia di casa la fidanzata ingiungendole: «Va' dai Nirvana e non tornare più». La ragazza lo prende in parola: va da Cobain, gli si dà e la loro storia decolla. E' il 1991. Negli alberghi i due si presentano come Simon Ritchie, vero nome di Sid Vicious, e signora, il confine tra tenerezze e contumelie è sempre più stretto. A un telecronista Courtney dichiara che «Kurt mi fa fermare il cuore ma è uno stronzo», lui ricambia in versi: «Tienimi stretto con respiri di verità/ ti auguro un male terminale». Il primo album degli HolePretty on the inside, fa scrivere a un critico che «quella sballata scopatrice di star e cercatrice d'oro ha preso tante sberle, ma finalmente ce l'ha fatta». Gli Hole, per ora, sono più famosi dei Nirvana, e quando Kurt e Courtney decidono di sposarsi, lei pretende un contratto prematrimoniale: «Per evitare - spiega - che, se ci separiamo, tu scappi con i miei soldi». Cosa l'ha sedotta in quel timido eroinomane, bello come un paggio, d'una biondezza contro natura, divorato dalle nevrosi? Forse un contorto senso materno, unito all'amore per la marginalità. E per la stravaganza, che a Kurt non difetta: ha battezzato Fecal Matter, materia fecale, il suo primo gruppo, ama gli scrittori - Burgess, Beckett, Bukowsky, Burroughs - il cui cognome comincia per "b", gli piace adornare muri di case e portali di chiese con scritte del tipo: «Dio è gay», «Nixon ha ucciso Hendrix», «Abortite Cristo». E' stato portiere in un ostello, maestro di nuoto, custode di studi dentistici. Ha vissuto in un tugurio con le pareti coperte di bambole squartate, disegni orrifici, foto di vagine malate strappate a libri di medicina, in compagnia d'un reggimento di topi, gatti, conigli e tartarughe cresciute ad hamburger. Tra le droghe, disdegna la cocaina «che rende troppo socievoli», e predilige l'eroina «che costa, ma dà sollievo». E vi converte l'amata, con qualche fatica perché la ragazza non sopporta aghi e siringhe. E', insomma, un amore impregnato di autodistruzione, quello che Courtney definisce «un rituale d'accoppiamento per gente affetta da disfunzioni». A una sfilata di moda i due amanti cominciano baciandosi e finiscono lanciandosi bicchieri tra un fuggi fuggi di mannequin, uscendo lui dichiara che «di lei mi piace il fatto che, in qualsiasi momento, qualcuno potrebbe accoltellarla», lei ribatte che «Kurt è un gran maiale scontroso e io sono la troia che sta rovinando i Nirvana, una specie di Yoko Ono». Un giornale la definisce «un urlante fantoccio a molla dagli occhi spiritati», dopo che Courtney, in pochi giorni, ha invaso le cronache con le seguenti prodezze: scazzottare il presidente d'una casa discografica, malmenare una biografa dei Nirvana, appiattire con un pugno il naso d'un fan dei medesimi, che l'aveva chiamata "Courtney whore", Courtney puttana.

Al matrimonio, in vetta a una collina vicino al mare di Waikiki, Kurt arriva in pigiama verde, la sposina veste di pizzo, gli invitati sono cinque e Courtney è incinta da un mese. Durante la gravidanza abbandona l'eroina, il che la rende felicemente intrattabile. Per impedirle di bucarsi la casa discografica le mette alle costole due guardie del corpo, che i neo-coniugi eludono fuggendo dalla porta di servizio del loro albergo. Quando vede l'ecografia della nascitura, l'aspirante mamma esclama: «Bella, sembra un fagiolo», e infatti la bimba sarà battezzata Frances Bean, fagiolo. Il parto avviene nell'agosto '92, al Cedar Sinai di Los Angeles, dove anche Cobain è ricoverato per un'utopica disintossicazione. Quando comincia il travaglio Courtney schizza dal letto, trascinandosi dietro il trespolo della fleboclisi, e irrompe nella stanza del marito urlando: «Non mi lascerai farlo da sola». Kurt la segue in sala parto e quando Frances comincia a venire al mondo prima vomita, poi sviene. Il Tribunale della Famiglia, sobillato dalla stampa, vieta a «quei due drogati» di tenere la figlioletta, affidandola a una zia, e il dolore porta entrambi a progettare il suicidio. Che per lui è solo un appuntamento rinviato per anni: l'8 aprile 1994 si chiude nel garage della sua villa e si spara in bocca. Nessuno sa dove sia, Courtney dà fuori di matto finché, tre giorni dopo il suicidio, un elettricista trova il cadavere. Alle esequie la moglie improvvisa un irrituale elogio funebre. Legge la lettera d'addio in cui il marito dichiarava di essere stufo del rock, e lo arricchisce d'una personalissima chiosa: «Ma allora - urla -, perché cazzo non hai cambiato mestiere?». Poi guida la folla in un coro di "scemo, scemo". Due anni dopo Il Duce, un carneade del rock, sosterrà d'avere ucciso Cobain su mandato di Courtney, in cambio di cinquantamila dollari. «Meglio bruciare che svanire lentamente», gli avrebbe detto la donna, citando Neil Young. Nulla di vero, una volta tanto.

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Giradischi - Le speculazioni sul vinile«...si',ma due sono vinile blue,vuoi mettere!»

Ormai anche gli amanti del vinile sono spacciati. Ho fra le mani il catalogo delle ultime uscite "vinilitiche": Achtung Baby degli U2, disco mediocre, esce in versione 4 LP: due di colore blue, con una valanga di remix, tracce inedite, rare B-sides, alla modica somma di cento euroni.

Poi scorgo Nevermind di Kurt Cobain e soci. Sono riusciti a dilatare anche questo in 4 LP de luxe edition: fioccano inediti (?), rarità ed altre amenità. La cifra è sempre un centino.
Per non parlare di gente tipo Jimi Hendrix, Doors, Beach Boys, ecc. L'appassionato dovrebbe acquistare almeno dieci edizioni dello stesso disco. La lista e' lunga ed abbraccia ogni genere musicale. Cosa sta succedendo?

La RIIA, Recording Industry Association of America (ve lo ricordate il logo sui vecchi Capitol?), l'ente che ha il controllo dell'andamento del mercato statunitense dei vari supporti musicali, ha sentenziato il crollo nella vendita dei supporti "fisici". Sta aumentando rapidamente, invece, quella dei supporti "liquidi", anche se il download illegale ed il P2P ci stanno dando dentro. Stiamo parlando di un crollo del 25% nelle vendite dei CD.

Nello stesso momento la vendita del vinile aumenta ad un ritmo del 23% l'anno. Era dal 1990 che non avevamo queste cifre: 4/5 milioni di pezzi, sempre "robetta", ma il trend e' netto. Business is business, ed il mercato del vinile è in espansione.

Ecco quindi il prolifierare di inutili riedizioni 180gr/200gr a prezzi esorbitanti. Belle copertine cartonate (quelle USA di una volta), magari ad album, qualche foto inedita ed il gioco è fatto. Ufficialmente, la scusa è che vengono utilizzati i masters originali. Non scherziamo. Edizioni jazz anni 50, già spremute mille volte, vengono rimasterizzate dai cd. Avviene un aumento generale del volume degli strumenti incisi, appiattendo la dinamica. Bella forza. Il mercato è speculazione e si inventa sempre nuovi sbocchi. Siamo noi che cadiamo nella trappola.

Va bene il feticcio anti-tecnologico. Va bene l'effetto nostalgia degli anni andati. The summer of love! Facciamoci furbi.

 

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Amy WinehouseCon la scusa che nella settimana appena trascorsa avrebbe compiuto 28 anni, s’è tornati a (s)parlare di Amy Winehouse a nemmeno due mesi dalla prematura scomparsa.

Mi sono fatto un giro sui forum, e ne ho tratto lo stesso senso di fastidio di quel momento. La stragrande maggioranza dei commenti è stata ancora una volta sprezzante, al limite con il compiacimento. Si torna a parlare di “talento bruciato”, di “spreco imperdonabile”, da qualche parte ho persino letto che “questi giovinastri ricchi e viziati se la cercano una brutta fine e non meritano pietà!”. Inorridisco. Eppure, se si riesce a non farsi travolgere dall’onda emozionale del momento e a trattenersi dall’ergersi a giudice supremo di chi non si conosce che tramite rotocalco, la riflessione è elementare.

Una persona che ha il dono del genio, di qualsiasi campo si stia parlando, può, purtroppo, non essere altrettanto forte di carattere. Non essere salda mentalmente. Può soffrire per cose che a noi farebbero sorridere, pur non avendo magari il problema (ammetto: vantaggio non da poco) di tirar fine mese. Può, semplicemente, non farcela da sola. Ed allora, forse, non posso che parlare per intuizioni, diventa difficile resistere a tutte le pressioni. A chi da te, superstar, vuole sempre il sorriso sgargiante, il fisico da superman, una lucidità inappuntabile in ogni occasione, un gigantesco, perenne pelo sullo stomaco. E naturalmente non si può sbagliare un colpo, dato che lo showbiz è un ottovolante che ti spara alla stelle e ti precipita alle stalle in un nanosecondo, e chi resiste è deciso, cinico, spietato. Ma il genio s’accompagna, quasi sempre, ad un’eccessiva sensibilità, e spesso alla solitudine. E allora il cocktail può diventare micidiale.

Io penso che esaltare il mito del “club dei 27”, come hanno fatto i media, sia stata una solenne stronzata. In cosa consiste? Un gruppo di celebri personalità della musica accomunati dall’età che avevano al momento del trapasso, arricchito nel luglio scorso proprio dalla Winehouse. Kurt Cobain, Jimi Hendrix, James Joplin, Brian Jones e non so chi altro, forse andrebbero ricordati alle generazioni future come dei talenti tanto eccelsi quanto fragili, certamente come esempi da non seguire a livello umano, ma meritano quantomeno il rispetto accordato a chi, e innegabilmente è il loro caso, è rimasto schiacciato da responsabilità o dolori troppo grandi anche perché, forse, non avevano qualcuno al fianco al momento cruciale. O vogliamo credere che i cortigiani delle superstar siano l’ amico ideale sulla cui spalla piangere alla bisogna? Poi, è chiaro, l’ eroe che cade suscita esultanza nelle anime mediocri. E’ la rivincita della nostra invidia meschina. E tutti allora a (s)parlare, sbraitando insulsaggini e sparando sentenze sull’estro sciupato, su una “fine annunciata” e “meritata”, il che è facile ed a effetto da esprimere, ma anche orribile, disumano.

Così la tragedia lascia spazio al gossip, ai soliti, desolanti “lo sapevo io”, pronunciati in genere da chi non sa nulla, e non può sapere nulla, della vita privata di chi è costantemente sotto l’occhio lungo dei riflettori. Personalmente, mi metto tra questi, perché seppur scrivendo queste righe non sono ancora capace di cambiare questo demagogico, perdente atteggiamento mentale, nel quale tendo ancora, me ne vergogno, a ricadere. Comincerò a mutarlo quando, ripensando a Amy, Kurt e gli altri, tutto quello che saprò provare è il sincero anche se modesto dispiacere per un giovane che muore.

di Alfonso Gariboldi

Pubblicato in Riflessioni

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