|
|
Eric Adams - voce Karl Logan - chitarra Joey DeMaio - basso Donnie Hamzik - batteria |
Nel 1997 i Manowar inauguravano la prima edizione del Gods of Metal, il primo e il più longevo dei festival estivi italiani che esordiva al mitico PalaSharp di Milano. Oggi i Manowar sono tornati sul luogo del delitto, o quasi, per aprire la quindicesima edizione del Gods of Metal all'Arena Fiera Milano di Rho (MI).
Le ricorrenze da celebrare non si esauriscono qua: dieci anni fa usciva Warriors of the World e da quel 2002 i Manowar non avevano più fatto ritorno in Italia, in più, proprio in questi giorni, si brinda all'uscita del nuovo lavoro della band, The Lord of Steel. Eppure sarà per il caldo asfissiante, sarà che è un giovedi lavorativo e che nei prossimi tre giorni di festival sono previsti grandi nomi del hard rock e del metal decisamente più accattivanti per il grande pubblico, oppure sarà per i costi dei biglietti, ma oggi all'arena non si registra il pienone.
I Manowar, d'altronde, non sono tipi da folle oceaniche, Grammy o MTV: fieri, integralisti, lontani da ogni moda, sempre fedeli al proprio stile, a quel marchio di fabbrica che ha costituito la loro fortuna ma al tempo stesso, dopo 30 anni di carriera, li ha relegati a una forma caricaturale, una sorta di trappola dalla quale sarebbe impossibile uscire senza farsi male. Come potrebbero infatti gli unici e veri "kings of metal" tradire la lealtà di quello stesso zoccolo duro di fan che li ha incoronati re diversi anni or sono?
Così, quando sono passate da poco le 22, la band newyorkese esce sul palco appena abbandonato da Amon Amarth e Children of Bodom e dà inizio a uno show di due ore e mezza circa, tiratissimo, potente e senza troppi fronzoli. Al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare la scenografia è sobria, per non dire inesistente: giusto uno stendardo a nascondere il backstage ma niente maxi-schermi, niente Harley rombanti, niente comparse in abiti medievali o fuochi d'artificio. L'unica concessione allo spettacolo è il divertente siparietto tra il bassista Joey DeMaio e un giovane ragazzo scelto tra il pubblico delle prime file per unirsi alla band nell'esecuzione di un brano e portarsi a casa, come souvenir, una delle chitarre di Karl Logan.
A parte questo momento e il classico monologo sconclusionato e, per l'occasione, in italiano di Joey DeMaio, per il resto i protagonisti indiscussi della serata sono l'heavy metal e l'impressionante impianto audio fortemente voluto dalla "band più rumorosa del mondo" che, finalmente, ha fatto tremare l'asfalto dell'arena e implorare pietà alle nostre orecchie.
La prima parte del live è segnata dai grandi classici del gruppo come Manowar, Gates of Valhalla, Kill With Power, Sign of the Hammer, Fighting the World, Kings of Metal, Metal Warriors e dall'incontenibile entusiasmo del pubblico. Poi, senza soluzione di continuità, si passa ad alcuni pezzi della produzione più recente dei Manowar e, inevitabilmente, si assiste a un calo di tensione.
Il susseguirsi di brani dai ritmi serratissimi, come Hand of Doom, King of Kings, The Gods Made Heavy Metal, Thunder in the Sky e The Power, dove il basso di DeMaio raggiunge volumi devastanti e la doppia cassa di Donnie Hamzik si fa ossessiva e quasi fastidiosa, viene intervallato, per fortuna, dalle liriche coinvolgenti e dai toni epici di Call to Arms e Warriors of the World United.
Dopo un breve break, prima del gran finale con le mitiche Hail and Kill e Black Wind, Fire and Steel, arriva l'omaggio di Eric Adams all'Italia. Nata quasi per gioco alcuni anni fa, la rivisitazione della celeberrima romanza di Giacomo Puccini, Nessun dorma, è ormai diventata un classico delle esibizioni live della band e l'occasione per il singer di ribadire, ancora una volta, che la miglior voce in circolazione in ambito heavy metal è sempre la sua.
Mancano all'appello, a mio avviso, almeno un paio di pezzi storici come Battle Hymn e Courage che avrebbero potuto dare, tra l'altro, un bel cambio di ritmo alla seconda parte della scaletta un po' troppo monotona. A parte questo dettaglio c'è poco da aggiungere, i Manowar sono una di quelle band che dal vivo non tradisce mai.
Tematiche fantasy, vocabolario scarno, vestiario in pelle, muscoli pompati, cuore, sudore, suoni possenti e nessun compromesso sono gli ingredienti essenziali dei loro show, come dire: poche idee ma ben chiare! E se qualcuno non volesse stare al gioco farebbe bene a starsene alla larga come sentenzia il testo di Metal Warriors: "... whimps and posers leave the hall!".
-------------------------
Manowar
Gates of Valhalla
Kill With Power
Sign of the Hammer
Fighting the World
Kings of Metal
Metal Warriors
Sun of Death
Brothers Of Metal
Call to Arms
The Gods Made Heavy Metal
Sons of Odin
Hand of Doom
King of Kings
Sting of the Bumblebee
Joey's Speech
Warriors of the World United
Thunder in the Sky
The Power
Hail and Kill
Nessun Dorma
Black Wind, Fire and Steel
|
CARMENMusica: George Bizet Luogo: Teatro Coccia, Novara
|
|
Se è vero che dai titoli di testa lo spettatore può intuire quale sarà lo stile, il senso e il ritmo di un film, lo è ancor di più per l'arte che del cinema è un’antica e illustre antenata, l’opera, anticipata dalla sua overture. Solo che, in questo caso, la dichiarazione d'intenti non è solo quella espressa dal compositore; è una dichiarazione che viene riscritta ad ogni rappresentazione e si affianca a quella che era l'originale intenzione: è l'impronta del direttore d'orchestra.
A luci spente e sipario abbassato ecco quindi che l'overture ci svela, attraverso i suoi celebri temi, il tocco giovane e deciso di Valerio Galli, abile a gestire la dinamica dell’orchestra facendola risultare persino più grande di quella che la buca del Coccia può contenere: fraseggio ampio e intenso, toni smorzati all’occorrenza.
Quando il sipario scorre ai lati del palcoscenico, il teatro è già immerso nella torrida atmosfera di Siviglia: un drappello di guardie assieme ad un gruppo di candide operaie preparano l’elettizzante entrata in scena di Carmen. Tiziana Carraro, scalza e perfettamente a proprio agio nei panni del personaggio, intona una delle arie più famose della storia dell’opera (Habanera) con sicurezza spavalda, in un continuo saliscendi dal grosso tavolo di legno posto al centro della scenografia, assecondando il bisogno di dinamicità imposto dalle scelte registiche.
Sul finire della scena, Carmen lancia un fiore raccolto dallo sprovveduto Don Josè nel momento in cui è raggiunto da Micaela: la passione abbandona il palcoscenico assieme alla bella sigaraia e i due intonano un duetto più incline alla tenerezza, senza che l’intensità e il trasporto dell’interpretazione di Elena Rossi subiscano per questo alcuna incrinatura.
Nel secondo atto - il contesto è l’osteria di Lillas Pastia - Carmen parla e danza con le amiche, circondate dagli avventori che fanno baldoria. L'azione si immobilizza sulle note che fanno presagire l’arrivo di Escamillo, il torero che incanta tutti (Carmen a parte) con la sua Votre toast je peux vous le rendre. Nell'interpretazione del baritono Gezim Myshketa sembra mancare, accanto ad una bella timbrica, quel pizzico di chiaroscuro che avrebbe permesso di trasmettere con maggior incisività il fascino del personaggio. Subito dopo Don Josè, scontata la galera per aver aiutato Carmen a sfuggire all’arresto, dichiara il suo amore alla protagonista e passa così da gendarme a fuorilegge.
Tra le montagne del terzo atto si sgretola l’amore effimero tra i Carmen e Don Josè: lo spirito indomito e libertino della donna l’ha già condotta verso un nuovo amante, Escamillo, e Don Josè, beanchè consapevole fin dall'inizio dell'indole di Carmen, non accetta l’allontanamento e giura vendetta.
Nell’ultimo atto Don Josè, sopraffatto dalla gelosia, pone fine a modo suo alla relazione tra Escamillo e Carmen che, incurante degli avvertimenti delle amiche, decide di incontrarlo, andando in realtà incontro alla morte. L’attenzione dello spettatore, per tutta la durata della scena, è catalizzata da una sorta di cassaforte collocata sullo sfondo del quadro: la serratura ha la forma di un cuore. Quando si raggiunge il clou della drammaticità la porta della cassaforte si apre e al suo interno troviamo una statua della Madonna da cui Don Josè estrae l’arma del delitto. Non è del tutto chiaro cosa abbia voluto dire Beppe De Tommasi con questo espediente, ma sicuramente un testimone di quel calibro sulla scena del crimine ha sortito l'effetto di amplificarne la tragicità.
Carmen (sop.) TIZIANA CARRARO
Don Josè (ten.) ENRIQUE FERRER
Micaela (sop.) ELENA ROSSI
Escamillo (bar.) GEZIM MYSHKETA
Frasquita (sop.) ESTHER ANDALORO
Mercédès (m.s.) MONICA TAGLIASACCHI
Il Dancaïre (bar.) DAVIDE ROCCA
Il Remenado (ten.) MARCO VOLERI
Zuniga (basso) VEIO TORCIGLIANI
Moralès (bar.) LUCA LUDOVICI
Opéra-comique in quattro atti su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halèvy Musica di
Georges Bizet
Maestro Concertatore e Direttore d’orchestra
Valerio Galli
Regia e scene
Beppe De Tomasi
Disegno luci
Jean Paul Carradori
Maestro Del Coro
Gianmario Cavallaro
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro della Fondazione Teatro Coccia - Corpo di ballo Giovane Compagnia Dancehaus
ERROR_SERVER_RESPONSE_301