Una cifra stilistica forgiata dall'amicizia con artisti fondamentali quali Dizzy Gillespie, Clark Terry o Miles Davis, a cui è stato spesso accostato con giudizi non troppo lusinghieri, erroneamente accusato, da parte di certa critica, di emulare il trombettista di Alton. La mutevole line-up, frutto di frequenti avvicendamenti (Robben Ford, Omar Hakim, Victor Bailey, Darryl Jones), mantiene inalterata la sua identità di all stars band, avvalendosi di musicisti che direttamente o indirettamente hanno beneficiato dell'influenza di Miles.
Acquisito il nome dall'omonimo disco del 1966, vetrina per l'ultimo leggendario quintetto acustico con Shorter, Hancock, Carter e Williams, il gruppo sonda la produzione posteriore al sopracitato album (quella basata sull'integrazione del verbo elettrico per intenderci) attraverso una manipolazione formale, nel solco di quella urgente necessità di reinventarsi cavalcata caparbiamente da Miles.
L'apertura del concerto è affidata alle suggestioni minimaliste di In A Silent Way che scivolano nell'impetuosa Right Off, scossa da pulsioni funky, ben distribuite dalla ritmica muscolosa e tagliente di Alphonse Mouzon incline a scansioni binarie, interrotte dalle cadenze blues nella parte centrale. Solo l'essenziale Footprints proviene dalla scaletta di Miles Smiles, mentre dall'album Tutu è stato estrapolato lo spigoloso funk Splatch,su cui le fughe solistiche si alternano in un tourbillon timbrico.
Incontenibile lo swing profuso da Joey DeFrancesco all'Hammond; l'organista ha raccolto l'eredità di Jimmy Smith e Larry Young divenendo una delle figure di riferimento dello strumento. É ancora il blues a farla da padrone in Star People (dall'omonima incisione del 1983) e Don't Stop Me Now, composizione dei Toto contenuta nel loro sesto disco Fahrenheit, che originariamente ospitava la tromba di Miles Davis; lo stesso ha successivamente ripreso il brano nelle sue esibizioni live.
La band prende congedo sulle note di Jean-Pierre (da We Want Miles), percorsa da sapori spanish e aggressive irruzioni da parte di Larry Coryell, icona della chitarra moderna, titolare di una prova decisamente improntata ad un estetica di chiara matrice jazz-rock. Wallace Roney è un referente generoso, non monopolizza la scena e non eccede mai in straripanti esibizionismi, dopo i suoi interventi si allontana regolarmente dal palco per lasciare ampio spazio d'azione ai propri musicisti.
Purtroppo alcuni problemi tecnici hanno funestato l'esibizione incrinando il naturale fluire della musica, sovente in maniera rovinosa nel bel mezzo degli assoli. Peccato.