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SENZA MUSICA LA VITA SAREBBE UN ERRORE Friedrich Nietzsche

Mercoledì Aprile 24, 2024
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Uno dei personaggi più controversi della musica internazionale compie oggi 31 anni. E’ la celebre rockstar Pink, figlia di Roger Waters e del suo gruppo di cui non ricordo il nome, che ne ha celebrato le gesta in un doppio album, emesso appunto trentun anni oggi, chiamato “The wall”. Il muro è quello che, fin da giovanissimo, Pink edifica intorno a sé. Pareti altissime, invalicabili, cementate giorno dopo giorno dalle sue esperienze: padre morto in guerra, madre opprimente, scuole come centri di tortura. Il ragazzo cresce con una devastante incapacità di comunicare e di vedere il bene nel prossimo. Così Pink, divenuto rockstar, si rinchiude gradualmente dietro pareti intrise di follia.

Seguiamolo nel suo folle viaggio, che si estende per le venticinque tracce dell’album.

In the flesh?. Un prologo secco, perentorio. Pink sta per esibirsi in pubblico, ma avverte gli ignari spettatori che, stavolta, lo show potrebbe non essere ciò che loro si aspettano di vedere, e lui non essere l’idolo che tutti credono. Si toglie la maschera ed esibisce, in pasto alla folla, la propria schizofrenica esistenza.

The thin ice. E sotto la maschera troviamo un bimbo. L’ infanzia di Pink è tranquilla come molte altre. L’amore dei suoi genitori, l’azzurro di un cielo che pare non tramontare. Ma crescendo, il “ghiaccio sottile della vita moderna” lo porterà ad imbattersi in crepe sempre più pericolose.

Another brick in the wall part.1. Pink conosce presto il primo grande trauma della propria esistenza: la scomparsa del padre in guerra. Bruciata in fretta la propria innocenza, il piccolo, cinico Pink inizia la costruzione: “Dopotutto era solo un mattone nel muro”.

The happiest days of our lives. A scuola, Pink è circondato e terrorizzato da insegnanti oppressivi e repressivi, che a loro volta sfogano le frustrazioni cui le loro mogli “grasse e psicopatiche” li sottopongono.

Another brick in the wall 2. Esplode la protesta di Pink e i suoi compagni contro il sistema scolastico, formato da individui che non sono altro che nuovi mattoni nel muro di Pink.

Mother. Per il ragazzo però, all’orizzonte si staglia la figura maestosa e rassicurante della Madre. Che lo proteggerà in ogni momento, e così facendo lo renderà ancora più insicuro e impreparato ad affrontare la vita. La quale per il giovane porta ogni giorno nuove questioni irrisolte.

Goodbye Blue sky. Qui Pink, ad esempio, si chiede il perché della guerra, della quale comprende solo il fatto che dopo di essa, niente nella sua vita sarebbe rimasto lo stesso.

Empty spaces/Young lust. In essa infatti, l’incomunicabilità e le incomprensioni cominciano ad essere un problema serio, per un Pink che cresce ma resta fragile psicologicamente. “Come riempiremo gli spazi vuoti in cui eravamo soliti parlare?”, si chiede sconsolato. Un riempitivo, leggero e indolore, potrebbe essere il sesso. La figura femminile, nell’alienata mentalità del nostro protagonista, dev’essere sporcacciona e anonima, deve farlo diventare un vero uomo senza implicazioni affettive e personali. Non c'è spazio per l'amore.

One of my turns. A ciò s’aggiungano le paranoie e le crisi di follia che attanagliano un ormai adulto Pink, che spaventano e mettono in fuga chi gli sta vicino.

Don’t leave me now. Nei brevi attimi di lucidità, Pink supplica l’altra di restare, in modo quanto meno imbarazzante: “..per salvare la faccia di fronte agli amici e riempirti di botte il sabato sera…”. E' la fine del rapporto, Pink viene abbandonato.

Another brick in the wall 3. In un impeto d’orgoglio, Pink dichiara di non aver bisogno di niente e nessuno. Nè donne, né droghe, ricchezza o pubblico; tutto rappresenta nient’altro che nuovi mattoni nel muro. Goodbye Cruel World. Ed è qui che tocca il fondo, l’incubo dell’anelito suicida ne tormenta le notti.

Hey you. A metà del viaggio, però, una flebile luce in lontananza pare riaccendere in Pink speranze di salvezza. “Tu, là fuori…(dal baratro)..puoi aiutarmi?”, chiede rantolando. Ma il muro è già troppo alto, non può liberarsene.

Is there anybody out there. Il suo richiamo resta drammaticamente inascoltato. Il nuovo mattone del muro di Pink è la sua solitudine.

Nobody home. Pink comprende che, chiuso com è in sé stesso, tutto quanto possiede, e che lui stesso quattro tracce prima ha riconosciuto inutile, non lo salverà dal buco nero in cui scivola, se non riuscirà a ricreare almeno un autentico, leale contatto umano.

Vera. Pink è assalito dai ricordi. La sua lei è ormai sparita per sempre, e con lei le speranze della sua gioventù.

Bring the boys back home. Distrutto dal raggelante peso delle proprie negatività, Pink ricade in una lucida, metallica follia e ripete, sconnessamente, una frase: “Riportate a casa i ragazzi!”. Un patetico riferimento al bimbo che lui vorrebbe tornare a essere?

Confortably numb. Ma Pink non può permettersi di indugiare nel delirio. E’ una rockstar e deve esibirsi. Il suo medico, cui lui narra altre reminiscenze giovanili, non lo ascolta, lo riempie di psicofarmaci e lo ributta in pasto al pubblico.

The show must go on. Lo spettacolo deve continuare, appunto, e il nostro s’esprimerà in tutta la sua devastante paranoia, supplicando addirittura nel vaneggiamento i genitori di riportarlo a casa, "temo di non ricordare le canzoni”.

In the flesh. Pink torna in scena. Nelle sue ininterrotte allucinazioni, immagina una band che lo surroghi, formata da filonazisti che incita il pubblico alla pulizia etnica, ottenendone un trionfo senza uguali. La cieca idolatria dell’audience spinge ancor di più Pink verso il baratro.

Run like hell. Nel vortice dello show, Pink ha un ultimo barlume di lucidità e capisce di dover tentare una fuga, per valicare il muro che lo sta ormai soffocando. Ma le paure, le visioni, gli incubi lo sovrastano impietosamente.

Waiting for the worms. Si immagina assalito dai vermi, mentre lui anela a “ripulire la città e accendere forni”. L’ ossessione nazista che s’associa, è inevitabile, all’idea della morte.

Stop. Al culmine del furore autodistruttivo, la parola che salva Pink è “Stop”. “Voglio lasciare lo spettacolo, togliere l’uniforme e andare a casa”. Un bagliore di razionalità, che significa rinascita? Non è tanto semplice.

The trial. Prima di risorgere, Pink affronta uno spietato, terrorizzante processo interiore, che ne deciderà le sorti. Vi si riassume ogni passaggio esistenziale di Pink, in pratica tutti i mattoni che hanno contribuito a costituirne il muro e a portarlo a un passo dall’abisso. “Vostro Onore il Verme” lo giudica, e l’accusa è pesante: è quella di “iniziare a mostrare sentimenti umani”. Con il suo stop alla follia, alle perversioni, al razzismo, alle chiusure, allo show-biz. Chiaro il dilemma del nostro, ossia se questo suo cambiamento sia giusto o meno. E al termine di questo processo fondamentale, la decisione è presa. Abbattete il muro!

Outside the wall. La storia di Pink ha così un lieto fine, incitando alla speranza e alla positività, e a non cadere nelle trappole dell’incomunicabilità e dell’egoismo. Non tutti ce la fanno, naturalmente. Ci sarà sempre chi “picchierà il cuore contro il muro di qualche pazzo bastardo!” .

Una storia così non merita un riascolto?

Alfonso Gariboldi

Pubblicato in Riflessioni

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