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Venerdì Marzo 29, 2024
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Della guerra del Britpop saprete già tutto, basta una ricerca su Google per rivivere quei giorni di metà anni Novanta, quando Blur e Oasis si sfidavano a colpi di singoli in uscita lo stesso giorno, e Noel Gallagher augurava a Damon Albarn di morire di Aids.

Pubblicato in Pop

Trovatisi di fronte ad una sostanziale disapprovazione per la loro ultima fatica, Heathen Chemistry, i ragazzi di Manchester impiegano tre anni per progettarne ed attuarne un seguito, e nella primavera del 2005 vede la luce il sesto album della band: Don't Believe The Truth. Preceduta e trainata da un singolo classicamente Oasis, la lenta, pesante Lyla, con quell'inizio che fa tanto Who, scelta come leading single dai discografici contro il parere dello stesso Noel, quest'opera contiene materiale in genere altrettanto buono e spesso migliore, che riacquisterà al gruppo il favore di pubblico e critica.

 

Malgrado lo strombazzato processo di democratizzazione in atto da qualche anno in seno all'inquieta compagine, è ancora una volta il lavoro del Gallagher anziano a profondere lustro e valore. Non a caso suoi sono i tre singoli estratti dall'album. Oltre a Lyla, ecco l'anatema di Mucky Fingers, potente ed elementare wall of sound di bass-guitar-n'drums- distilla elucubrazioni profonde ed insidiose (“Tu credi di meritare una spiegazione sul significato della vita...”). Diametralmente opposto il concetto espresso da The Importance Of Being Idle, dove, con voce lambente il falsetto, il nostro dichiara non esservi nulla di meglio nella vita di un letto accogliente sotto il cielo stellato. Beato fancazzismo, illustrato con un tango sognante ed insolito, invero di grande fascino. Part Of The Queue si risolve invece in una grintosa schitarrata in minore, con un cantato incisivo e iridiscente. Ma è l'ultimo brano Noel-made a meritare tutta l'attenzione. Let There Be Love, melodia di chiusura che si sprigiona dai solchi con andatura liturgica, per poi prendere forma autonoma nel bridge, interpretato dallo stesso autore, che culmina in un crescendo meditabondo e coinvolgente, furbescamente inserito nel bel mezzo di liriche che inneggiano ai buoni sentimenti, ossia quanto di più tipicamente Gallagher si possa immaginare.

 

Alcune, non tutte, tra le tracks restanti eguagliano il livello dei cinque pezzi di Noel. Citerei la opener, Turn Up The Sun, del bassista Andy Bell, che consta di un sofisticatoo stacco strumentale posto all'inzio e alla fine di un piacevole, corale pop-rock. Liam se ne esce con una manciatina di brani tra cui la più degna di nota è per distacco la scattante The Meaning Of Soul, stomp istantaneo che strizza l'occhio al garage. Quando il fratellino cerca di tracciare una propria strada artistica, ecco che raggiunge risultati anche lusinghieri, come nella melodica, riflessiva, apparentemente semplicistica Guess God Thinks I'm Abel, (che suona come una mano tesa per il Caino di famiglia).

 

Meno interessante risulta il suo materiale quando, al contrario, scimmiotta il chitarrista con robette fiacche, insipide come Love Like A Bomb. Gem Archer contribuisce la rockeggiante A Bell Will Ring, mentre Bell pennella anche Keep The Dream Alive, tutti brani piacevoli ma che se dimostravano qualcosa, era il fatto che i nuovi membri degli Oasis subivano, positivamente, l'influenza stilistica di Noel. Non che questo comprometta il livello generale dell'opera, la cui pubblicazione recuperò agli Oasis più di una simpatia, alienata dalle ultime vicende che ne avevano caratterizzato la storia, artistiche o meno. Ma nell'ambito della band s'era accesa una scintilla pericolosa, che avrebbe scatenato un incendio inestinguibile, quattro anni e un disco più tardi. Liam e gli altri forse pensavano, già all'epoca, di poter far a meno di Noel, della sua maggiore esperienza ed, evidentemente, delle sue maggiori abilità a livello di songwriting; fatto sta che Don't Believe The Truth segnava il miglior disco dei discoli di Manchester dai tempi di What's The Story, ormai dieci anni prima, e che, fino a prova contraria, le gerarchie avrebbero fatto bene a restare quelle che erano.

Pubblicato in Recensioni dischi

Uscito nel momento più complicato in assoluto della band nei suoi primi quattro anni di vita (per vicende personali più che professionali), Be Here Now è un disco troppo auto indulgente e monotono per risultare soddisfacente, ma la sua pecca più rimarchevole è che non mostra, stilisticamente e tecnicamente, particolari miglioramenti rispetto ai suoi due brillanti predecessori.

Pubblicato in Recensioni dischi

Noel Gallagher's High Flying Birds

Luogo: Alcatraz, Milano
Data: 28 novembre 2011
Evento: Band On The Run Tour 2011
Voto: 5

Inizio dalla fine. I concerti di Paul McCartney durano quasi tre ore, quello di Noel Gallagher una e mezzo, e chi ha visto più live degli Oasis mi spiega che era un’abitudine dei fratellini anche quando suonavano insieme. Io purtroppo non ho avuto la possibilità di vederli dal vivo perché l’unica volta che ho acquistato un biglietto hanno deciso di sciogliersi due giorni prima, mandando a monte le ultime due date senza preoccuparsi troppo dei fan. Pazienza, questo non sarebbe di per sé un grande problema se alla durata dimezzata dell’evento corrispondesse almeno metà del talento dell’ex Beatle (che Noel ha seguito in prima fila la sera prima), ma è forse ridondante puntualizzare che non è questo il caso, sebbene non si riesca proprio a liberarsi di certi paragoni blasfemi.

Pubblicato in Rock

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