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Martedì, 16 Aprile 2013 07:15

David Bowie is...David Bowie

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David Bowie is... David Bowie is...

Il rischio di cadere nel luogo comune quando si parla di David Bowie è altissimo. Vorrei cercare di andare al di la della solita definizione di artista camaleontico, dalle mille sfaccettature e mille identità, ecc., e concentrarmi invece solo su questa esibizione, che a Londra è vissuta come un evento irripetibile. A testimoniarlo il numero di prenotazioni: ben prima dell'inaugurazione sono terminati i biglietti acquistabili online per i primi mesi, e da oggi all'11 agosto, giorno di chiusura, non c'è più un solo ingresso disponibile. L'unico modo per tentare di entrare nel mondo di David Bowie is (questo il nome scelto dai curatori) è quello di svegliarsi presto, magari un giorno infrasettimanale, e mettersi in coda un'oretta prima dell'apertura dei portoni del Victoria and Albert Museum (le 10 in punto). Quotidianamente infatti viene messo a disposizione un piccolo numero di biglietti sottratti alla vendita online, ma la domanda è altissima, dunque occorre fare presto e giocare d'anticipo.

Raramente mi è capitato di assistere a un tale fenomeno di euforia collettiva per una mostra. Potere della pubblicità che tappezza ogni vetrina, ogni rivista e ogni stazione dell'Underground o al mondo esistono più fan di Bowie di quanto immaginassi? Difficile rispondere, ma di certo al V&A hanno fatto centro. Perfetta anche la tempistica, quasi sospetta.

A fine agosto, dopo mesi di inattività, David Bowie pubblica un post sul proprio profilo Facebook precisando di non avere partecipato in alcun modo all'allestimento, ma di essersi limitato a concedere ai curatori accesso al proprio archivio privato. Poi inizia la pubblicità, in autunno la copertina di Aladdin Sane, scelta come emblema dell'evento, è un po' dappertutto. A gennaio, contestualmente con l'uscita del singolo Where Are We Now?, viene annunciato il nuovo album, The Next Day, che vede la luce il 12 marzo, dieci anni dopo Reality, il suo ultimo lavoro in studio, e undici giorni prima del vernissage, che avviene in un clima di grande attesa e curiosità.

Il prezzo del biglietto, 14 sterline, è in linea con le altre esibizioni temporanee del V&A, adeguato agli sforzi creativi e tecnici dello staff, e comprende un'audioguida dinamica, connessa via wireless a una serie di trasmettitori posti lungo il percorso, che cambiano automaticamente la traccia a seconda della propria posizione e di ciò che si sta osservando.

La mostra è strutturata principalmente in ordine cronologico, dalla nascita in un vicolo della Brixton post seconda guerra mondiale a oggi, passando per le scorribande spaziali del Maggiore Tom, la nascita e la morte di Ziggy Stardust, Berlino, gli anni Ottanta, le apparizioni cinematografiche e tutto ciò che è stato rilevante nella carriera di un artista che probabilmente è stato più rivoluzionario dei rivoluzionari.

Alla fine degli anni Sessanta, quando tutta la musica rock spingeva verso la spontaneità portata ai suoi estremi, come se lo spogliarsi di ogni orpello fosse l'unica via percorribile per offrire profondità e onestà intellettuale, Davide Bowie prendeva un'altra strada, quella della messa in scena dichiarata, delle maschere, dei costumi, delle identità destinate ad affermarsi e poi sparire per lasciare spazio a un nuovo mondo, della ricerca continua di nuovi se stessi, pur con il pericolo di creare confusione tra il proprio io e la sua rappresentazione. Emblematico in questo senso il video The Mask, in cui un 22enne Bowie mima proprio il rischio di non riuscire più a levarsi dal volto la maschera indossata per compiacere il pubblico.

La collezione esposta nei corridoi e nelle teche è ricca, e per una visita non superficiale richiede almeno due ore e mezza, durante le quali si possono ammirare rarità come i testi scritti a mano di brani come Starman, Life on Mars e Rock 'n' Roll Suicide, bozzetti delle copertine dei suoi album, spesso auto prodotti e frutto della sua fantasia, così come molte scenografie dei suoi concerti, retaggio della sua passione per il teatro, oltre a performance live inedite o poco conosciute (ipnotica la versione di The Man Who Sold The World al Saturday Night Live del 1979, con la partecipazione di Klaus Nomi), e, ovviamente, decine di costumi, significativi quanto la sua produzione musicale.

E' difficile dire se il mito di Bowie avrebbe raggiunto certe dimensioni se si fosse limitato a indossare un jeans e una maglietta negli ultimi 45 anni, ma si può affermare senza possibilità di smentita che per lui l'abito è sempre stato parte del messaggio, quando non il messaggio stesso. La sua apparizione a Top of The Pops nel 1972, con tuta variopinta ispirata nel taglio ad Arancia Meccanica, stivali rossi e look androgino è ricordato come un evento mediatico che ha colpito come uno schiaffo al volto l'Inghilterra più tradizionalista, e stimolato la fantasia dei giovani allora sintonizzati sulla BBC. Perché in un periodo in cui ormai tutti potevano farsi crescere i capelli senza dare nell'occhio, per ribellarsi ad autorità e genitori bisognava giocare altre carte, come quella della confusione dei generi sessuali.

Sotto il tetto del Victoria and Albert Museum in questi giorni ci sono molti dei costumi che hanno scandito il viaggio di un artista che per decenni ha influito direttamente o indirettamente su chi è venuto dopo di lui, e che a volte non ha saputo, o voluto, riconoscere la paternità della propria ispirazione.

Cercare di racchiudere tutto ciò che David Bowie è e rappresenta fra quattro mura non dev'essere stato semplice, ma il risultato è eccellente, così come geniale è la scelta del titolo.

David Bowie is: la frase concludetela voi, se pensate che esista un aggettivo o un'espressione non limitante per il soggetto in questione.

 

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Marco Signorelli

Marco Signorelli nasce alla periferia di Milano una domenica del 1981. Dopo un'infanzia musicale più che comune è colpito da una folgorazione punk-grunge in età adolescenziale, la rivoluzione culturale che cambia per sembre il suo modo di intendere le sette note. Le porte della percezione sono ormai aperte e la vita diventa una scoperta continua: amori, infatuazioni, delusioni e passioni che consumano l'anima. Dai Nirvana ai Pink Floyd, dai Doors ai Beatles, dai Queen ai Led Zeppelin. Tutto ciò che è stato rilevante nella storia della musica lo è anche per Marco, con una menzione d'onore per il quartetto di Liverpool e i gruppi progressive anni 70. Nel frattempo, tra un cd dei Dire Straits e una strimpellata, studia, si laurea, e diventa giornalista professionista.
Ama le performance dal vivo, la spontaneità artistica e il vinile.

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